La destra odia la cancel culture perché vuole imporre la sua (di M. Gervasoni)

L'HuffPost INTERNO

Tra le tante illuminazioni riservatemi da questo anno e mezzo di governo Meloni, ho capito che la destra è contro la “cancel culture”, il politicamente corretto, la “censura”: ma solo quelle degli altri. Perché poi, soprattutto da quando la destra è al potere, la censura la pratica alla grande, contro tutto ciò che non le garba. Così ecco alcuni fatti recenti, apparentemente slegati tra loro, ma tutti animati da una profonda cultura della cancellazione. (L'HuffPost)

Ne parlano anche altri media

I giornalisti della Rai hanno proclamato cinque giorni di sciopero per «non essere ostaggi dei partiti». Fuori di formalità e giri di parole, il sindacato della Rai, a maggioranza di sinistra, si fa partito lui stesso e scende in campo contro il governo in piena campagna elettorale. (ilGiornale.it)

Il caso finisce sotto i riflettori proprio nel giorno in cui la premier Meloni è arrivata nella capitale europea per il vertice dei capi di Stato e di governo dei 27 che prosegue e si chiude oggi. Lo auspicano i Verdi europei con una richiesta alla Commissione Ue di indagare le interferenze governative sulla libertà di stampa in Italia. (il manifesto)

I tempi sono da record, bisogna ammetterlo: «L’Assemblea dei Cdr e dei fiduciari della Rai proclama a larghissima maggioranza (8 voti contrari e un astenuto) lo stato di agitazione e affida a Usigrai un pacchetto di 5 giorni di sciopero». (ilGiornale.it)

«Rai megafono dei partiti», tuona un comunicato dei cdr. (La Stampa)

L’Assemblea – spiega una nota – “contesta la volontà di trasformare il servizio pubblico nel megafono dei partiti, e all’azienda gli accorpamenti di testate calati dall’alto che svuoterebbero Radio1 della sua vocazione all news, la mancata volontà di indire una selezione pubblica per sostituire gli oltre 100 colleghi usciti dalla Rai negli ultimi anni, il mancato rispetto degli accordi sindacali sugli organici nella Tgr, l’assenza di risorse per stabilizzare i precari che lavorano nelle reti, i tagli alle troupe e la disdetta da parte del vertice del premio di risultato”. (Il Fatto Quotidiano)

Tutto questo dibattere attorno all’ex premier e numero uno della Bce sembra quasi infastidirla. Perché sul futuro di Mario Draghi ai vertici dell’Europa – quella che verrà dopo il voto del 9 giugno – per Giorgia Meloni si fa mera “filosofia”. (Il Giornale dell'Umbria – il giornale on line dell'Umbria)