Nel reparto di Barbara: "Pensai a una rapina un suo vero paziente non lo avrebbe fatto"

LA NAZIONE INTERNO

Di Enrico Mattia Del Punta All’interno del reparto dell’Spdc di Pisa, nell’ospedale Santa Chiara, dove lavorava la dottoressa Barbara Capovani, brutalmente uccisa il 21 aprile dell’anno scorso mentre usciva da lavoro, Simona Elmi e Davide Ribechini, entrambi psichiatri, raccontano cosa significa lavorare in trincea. Tra turni estenuanti e un numero sempre più esiguo di specializzandi che si avvicinano alla professione, l’obiettivo principale resta sempre quello per cui sono inizialmente entrati nel mondo della psichiatria: curare le persone, come scriviamo anche nelle pagine nazionali. (LA NAZIONE)

La notizia riportata su altri media

Per questa ragione domenica mattina si sono dati appuntamento all’esterno del reparto Spdc (servizio psichiatrico di diagnosi e cura) di Pisa: qua è stato deposto un mazzo di fiori e osservato un minuto di silenzio. (Corriere Fiorentino)

Un importante convegno sulla storia della psichiatria e l’intitolazione del restaurato laboratorio medico scientifico all’indimenticata dottoressa Barbara Capovani hanno caratterizzato la giornata odierna (19 aprile) a Maggiano, nella sede dell’ex ospedale psichiatrico. (gonews)

Simona Elmi, collaboratrice e amica di Barbara, a nome di tutti, ha rievocato quel giorno e ha sottolineato come il vuoto che ha lasciato con la sua scomparsa nei pazienti, nei colleghi e in tutta la comunità sanitaria non solo pisana, non potrà essere colmato se non attraverso il ricordo e la continuazione dei molti progetti che aveva messo in campo. (LuccaInDiretta)

Non sono bastate. Nessuna iniziativa ha ottenuto lo scopo che si prefiggeva: aumentare la sicurezza nei luoghi di lavoro. (la Repubblica)

Quella frase-guida, la preferita di Barbara Capovani, adesso è incisa in uno dei luoghi simbolo della psichiatria italiana: l’ex manicomio di Maggiano, oggi sede della fondazione che porta il nome di colui ne fu il faro, Mario Tobino. (LA NAZIONE)

Lui non lo sa neppure ma se oggi conduce una vita finalmente normale lo deve anche a quella dottoressa, minuta ma caparbia che ha pagato il prezzo più alto per mettersi a disposizione degli altri. (LA NAZIONE)