Nuove frontiere per la riprogrammazione cellulare: determinare il destino delle cellule staminali sane e patologiche

Gli studi sul codice epigenetico e sul suo utilizzo per la rigenerazione cellulare, che aprono la strada a un innovativo approccio di cura senza farmaci e senza manipolazioni genetiche.
Milano, (informazione.it - comunicati stampa - salute e benessere) Il meccanismo di riprogrammazione fisiologica delle cellule è presente, in perfetto equilibrio, nell’organismo umano al suo stadio embrionale, che è dunque in grado di ricostruire il ciclo vitale della singola cellula. Purtroppo, col trascorrere degli anni, tale equilibrio si altera e le cellule decadono e muoiono per cause naturali o patologiche.
In un futuro probabilmente sarà possibile riprodurre questo meccanismo di rigenerazione anche negli organismi adulti, contrastandone il decadimento.
Uno studio italiano coordinato da Pier Mario Biava, Ricercatore dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico MultiMedica di Milano e da Carlo Ventura, Ordinario di Biologia Molecolare, Scuola di Medicina dell’Università di Bologna, Direttore di Stem Wave Institute for Tissue Healing (SWITH), GVM Care & Research - E.S. Health Science Foundation, ha dimostrato che è possibile riprogrammare le cellule staminali tramite il codice epigenetico, senza manipolare il DNA. Aprendo la possibilità di rendere reversibile il processo di invecchiamento cellulare .
“Uno studio già in corso ha lo scopo di fare un ulteriore passo avanti ed osservare in vitro se è possibile rendere reversibile il processo di invecchiamento - spiega Carlo Ventura – Oggi siamo nella prima fase. Abbiamo due gruppi di staminali. Il primo campione è stato prelevato da soggetti trentenni e ne stiamo forzando l’invecchiamento in vitro. L’altro invece proviene da soggetti ottantenni, quindi con un invecchiamento fisiologico. Nella seconda fase della ricerca interverremo in modo diretto su queste cellule aged. Ma senza manipolazioni. Utilizziamo un mix di proteine al 90 percento e micro-rna, prelevati dall’embrione di Zebrafish.”
Non è il primo studio in questa direzione. Già nel settembre del 2014 una ricerca pubblicata su Cellr4 - The Official Journal of the Cure Alliance a firma di un gruppo di ricercatori, tra i quali Biava e Ventura, dimostrava la possibilità di modificare il potenziale staminale e di rimodellare il processo della senescenza.

Lo Zebrafish, o danio zebrato, è un pesce di acqua dolce che negli ultimi anni è diventato il modello animale più utilizzato al mondo negli studi di laboratorio, grazie alla sua particolare caratteristica. Da questo pesce, quando è nella fase embrionale, è possibile ottenere un codice epigenetico in grado per l’appunto di riprogrammare le cellule umane e di differenziarle.
“Gli studi che ho condotto in questi ultimi 20 anni mi hanno portato a individuare all’interno del codice epigenetico dell’embrione dello zebrafish cinque stadi di differenziazione delle cellule staminali - interviene Pier Mario Biava - Così, per la prima volta si è potuto osservare nel concreto come il codice epigenetico dia origine alla vita”.
Questo codice, com’è stato visto nel corso degli studi, è presente nella sua totalità nell’embrione. Ma negli individui adulti è presente nei singoli organi solo in modo parziale. Le ricerche hanno dimostrato che ogni stadio di differenziazione del codice epigenetico dello Zebrafish ha un suo ruolo preciso .
“Nella fase iniziale ha la capacità di rigenerare i tessuti e di mantenere attive le staminali per impedire l’invecchiamento cellulare – continua Pier Mario Biava - nelle fasi intermedie e avanzate prevale invece il meccanismo di differenziazione con rallentamento della moltiplicazione in caso di patologia, e successiva riprogrammazione oppure apoptosi. Insieme, invece, le cinque fasi modulano il processo di senescenza, come stiamo osservando in vitro nello studio in corso con il dottor Ventura”.
I cinque stadi dello Zebrafish stanno dunque aprendo in prospettiva nuove strade di ricerca, con la possibilità di importanti ricadute nel campo dei trattamenti anti-aging. Ma non solo.
“Abbiamo ottenuto risultati positivi nell’ambito della neurodegerazione - prosegue Pier Mario Biava - Le prove in vitro ci hanno permesso di prevenire il 70 percento della degenerazione delle cellule dell’ippocampo. Ora l’obiettivo è riuscire a rovesciare i meccanismi patologici che hanno instaurato il processo degenerativo nel caso di malattia di Alzheimer e di Parkinson”.
Sono invece già in fase avanzata, ovvero sull’uomo, le prove sull’utilizzo del codice epigenetico di Zebrafish su pazienti con psoriasi. Lo studio a firma Harak, Frosi, Biava, è stato pubblicato sulla rivista La Medicina Biologica di luglio-settembre 2012. Per un mese 20 pazienti hanno seguito una cura topica a base di un mix dei fattori di Zebrafish. Nel 90 percento dei casi è stato registrato un rallentamento nella velocità di moltiplicazione dei cheratonociti, con risultati visibili all’osservazione clinica. Sono stati evidenziati infatti una riduzione sia del prurito, sia dei sintomi obiettivi, cioè eritema, desquamazione e ipercheratosi. Nel restante 10 percento (due casi) l’efficacia è stata scarsa, ma a causa di una forte componente di ordine psicologico nella malattia.
“Alcune ricerche sono state indirizzate anche nell’ambito dell’oncologia - conclude sempre Pier Mario Biava - in questo caso sono stati utilizzati gli stadi relativi alla riprogrammazione per la differenziazione e l’apoptosi. In sostanza, il network selezionato in tal senso dall’embrione di Zebrafish fa sì che si attivino i geni oncosopressori. Questi, in prima battuta tentano la riparazione dei danni determinati dalle cellule oncogene. E quando questo processo non è possibile, inducono la cellula all’apoptosi, cioè al suicidio. I risultati che abbiamo ottenuto sia in vitro, sia su volontari, ci confermano che questa può essere una delle strade da percorrere nella cura dei tumori.”

Le ricerche relative al codice epigenetico dello Zebrafish e alle sue applicazioni portano a un cambio di paradigma scientifico. Spostano infatti il baricentro della visione della biologia e della medicina.
“Il paradigma meccanicistico, dove l'uomo e il vivente sono visti come aggregati meccanici su cui si può intervenire in modo artificiale per cambiarne il comportamento, sta lasciando il passo a una visione sistemica che vede il vivente come una rete informativa che va regolata in modo fine e fisiologico - interviene Ervin Laszlo, Presidente del Club di Budapest e Filosofo della Scienza e della Teoria dei Sistemi - La medicina dunque sta andando incontro al cambiamento che ha già subito la fisica, che da una visione meccanicistica è passata alla fisica dei quanti e della relatività”
Il cambiamento in atto è storico ed è stato ufficializzato nel Manifesto del Nuovo Paradigma in Medicina. Il documento è stato scritto dal professor Laszlo insieme al professor Biava ed è stato sottoscritto e condiviso da medici, biologi, psicologi, psichiatri.
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