Mostra “Acquerelli” di GIORGIO OCCOFFER, alla Biblioteca Comunale e Museo Civico di URBANIA (PU).

Dal 6 al 20 agosto 2016.
Bologna, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura)

GIORGIO OCCOFFER (1937) vive e lavora a Milano. Inizia la propria esperienza giovanissimo privilegiando, nelle sue tele, la Milano del dopoguerra, la Milano delle periferie e delle sue fabbriche, delle sue stazioni. È una pittura legata alla figura, le cose sono riconoscibili pur nella tensione e astrazione del segno e del colore. Intanto studia disegno alla Scuola di Arte del Castello Sforzesco di Milano con il Maestro Da Forno. Da questa breve esperienza nasce una prima esposizione a Milano insieme ad altri tre studenti/artisti. Seguono anni di relativo silenzio espositivo a parte la partecipazione al premio Vecchia Milano (che gli attribuisce il 1° Premio della Provincia di Milano) ma non infruttuosi al fine di elaborare e maturare una scelta di campo nella ricerca.
La sua pittura si evolve, l’immagine diventa immaginaria, immaginifica, i colori si fanno più intimi, meno naturalistici ma sempre con un occhio attento alla realtà che lo circonda. E così nascono figure misteriose, sguardi sfuggenti, e compaiono forme, solidiche ruotano in universi, in cieli dai colori polverosi, stralunati.
Sente l’esigenza, da quasi-autodidatta, di immergersi ancora nello studio, nella ricerca. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano dove si diploma con il Maestro Italo Bressan. Questi anni di studio sono anche di approfondimento espressivo, sono il riconoscersi e confrontarsi con nuovi materiali, materiali che diventano espressione pura: e così la grafica, l’acquarello, l’acrilico, il video, la fotografia nelle sue mani divengono nuovi motivi ed occasioni di sperimentazione visionaria.
Sue opere si trovano presso collezionisti privati in Italia, Olanda, Svizzera, Germania, Francia.
In tempi in cui il peso prevale sul segno, è bello che qualcuno faccia prevalere il segno sulla pesantezza dei tempi.
Attilio Zanchi


(...) Eccomi di fronte a questi fogli non più bianchi a interrogarmi, a incantarmi, a riflettere. L’impatto è forte, anche se non immediato richiede: slittamenti progressivi, come ogni piacere che si rispetti.
Sento la sapienza del tratto, della (s)composizione, dei colori (anzitutto primari).
Mi interrogo fin dove la ragione generi bellezza, e quanto il sonno ne minacci l’essenza. Loro, mi dico, sono fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, ma anche gli incubi. Nel dormiveglia percepisco il caldo e il fred­do, la Gioia e il dolore, la luce pulsante la muta oscurità.
Il reticolo del tratto nero li ancora e li eleva, si torce e si aggroviglia, li scandisce e li sedi­menta come ammassi di rocce.
Percepisco il ricordo di un percorso, tanto più sensibile perché dentro ognuno di noi (a caso da lascaux e Altamira a Chagall e Schiele e Bacon), patrimonio comune.
O forse bisognerebbe dire matrimonio, in nome di una qui reiterata dea madre il cui grembo ci genera e ci accoglie anche nella pittura.
Altrettante tracce di un discorso amoroso che si fa materia e vita, animale, vegetale, minerale, un tutt’uno. (...)
Lorenzo Pellizzari


INFO:
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