Un giorno ad Anzio, in compagnia di Angelita, dell’arte e del ricordo di uno sbarco che costò la vita a tanti e ci salvò dall’oppressione nazista.

Anzio. Non è la prima volta che la visito, e non sarà certo l’ultima. Eduardo De Filippo diceva che siamo ancora in guerra, che il male non è finito. Piace pensare lo sia, ma, per salvarci dal male, occorre non dimenticare che esista. Io vengo ad Anzio per salutare il ricordo, o la leggenda di una bambina.
Anzio, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura) Non è la prima volta che la visito, e non sarà certo l’ultima. Eduardo De Filippo diceva che siamo ancora in guerra, che il male non è finito. Piace pensare lo sia, ma, per salvarci dal male, occorre non dimenticare che esista. Io vengo ad Anzio per salutare il ricordo, o la leggenda di una bambina. La ritrovo sempre ad aspettarmi, coi suoi codini e i suoi piedini scalzi. Si chiama Angelita e uno scultore, Sergio Cappellini, l’ha resa tangibile come a volte sanno essere i ricordi, o le leggende. Vera? E’ davvero esistita quella bimba “raccontata” dal soldato Christopher S. Hayes, militare del Royal Scots Fusiliers? Una bambina “dimenticata”, di circa cinque anni che condivise le sorti dei militari, per finire uccisa, in una trincea americana? Divenne, a suo tempo, la più famosa canzone dei Marcellos Ferial e resta l’emblema dei tanti, troppi bambini, che patiscono per le follie degli adulti. In ogni caso su quella spiaggia di Anzio si decisero le sorti del mondo e in nome della libertà, o del dovere, vi lasciarono la vita tanti ragazzi, venuti a morirci da terre lontane. Oggi poco importa su quali fronti combattessero, sono pur sempre lacrime sparse da madri, da mogli, da amanti e figli che non hanno avuto un padre a crescerli. Per questa ragione visito il Museo dello Sbarco, aperto al pubblico nella seicentesca Villa Adele (Via di Villa Adele, 2 - 00042 Anzio (RM) Italy). Fu istituito nel 1994, a cinquant’anni dallo Sbarco delle truppe Alleate ad Anzio ed attualmente fa parte del nuovo Museo Civico. La Villa, di per sé, è degna di nota: una costruzione con nucleo seicentesco, voluta dai Pamphily, che venne poi accresciuta nei secoli XVIII e XIX dai successivi proprietari ed è divenuta, con il giardino annesso, proprietà del comune. Giungervi significa seguire anche le numerose manifestazioni che di volta in volta vi si tengono, anche a merito di una grande sala polifunzionale. Al secondo piano dell'edificio è posta la Biblioteca Comunale. Il Museo archeologico ci guida alla conoscenza della nascita e dello sviluppo dell'antica Antium, con approfondimenti relativi ad alcuni aspetti peculiari della città in età antica e l’ausilio della presenza di stralci da autori antichi, forniti da un commento che illustra gli eventi più significativi della storia della città. I materiali esposti provengono sia da recuperi che da recenti scavi archeologici. In questa occasione sono stata accolta all’ingresso da un circolo di persone, giunte ad ascoltare una conferenza, mentre nell’interno la vita passata, si “arricchiva” della presenza di una mostra di quadri, inseriti intelligentemente tra i reperti archeologici. L’autore: Riccardo Chirici, livornese del 1959, il titolo della mostra: “Il trionfo dell’acqua Visioni di Giverny e di Ninfa.” Opere interessanti, piene di luce e di riflessi, con una vaga ricordanza delle ninfee di Claude Monet volutamente ricercata sul territorio del Maestro. L’impressionista francese rappresentava, senza stancarsi, lo stagno del suo giardino di Giverny, immergendosi nell’atmosfera creata dai fiori delle ninfee, che fluttuavano nell'acqua, rese luminescenti dai raggi del sole. Come Monet, che rappresentava le ninfee del suo giardino in un’interminabile sequenza di riflessi, interessato in alcuni casi al paesaggio (le sponde del fiume, il ponte, gli alberi) e in altri dalla miriade di giochi di luce creati sulla superficie dell'acqua, così anche le straordinarie immagini di Chirici ci riportano in una realtà “altra”, sapientemente evidenziata dai giochi delle luci disposte nella sala. Ad accoglierci nella prima sala vi è anche una copia della splendida “Fanciulla di Anzio”, statua ellenistica conservata attualmente al Museo Naz. Romano, rinvenuta nel 1878 ad Anzio, appunto, nei pressi del cosiddetto “Arco Muto”, fra le rovine della Villa di Nerone. L’originale è composto di due blocchi di marmo ed alto m 1,70. Con grande delicatezza l’autore, lontanissimo da noi, ha riprodotta una giovinetta che regge un piatto rituale, con la sinistra. Probabilmente si trattava di una sacerdotessa. Ecco: la vita perduta del passato lontano, quella di Angelita e la sofferenza di chi, lontano dalla propria patria, è restato al suolo in un passato più recente, trova, nel proseguimento della vita, tra turisti di passaggio, ascoltatori di una conferenza, amanti dell’archeologia o dell’arte “attuale”, modo di offrire un senso anche al ricordo della piccola Angelita, sepolta chissà dove, sul territorio di Anzio. Bianca Fasano
Ufficio Stampa