Giorgio Linguaglossa, un critico dalla libertà intellettuale

“Quando chiudo gli occhi non so ridire quali tra i miei ricordi siano quelli relativi a fatti realmente accaduti e quelli che invece sono rappresentazioni di fatti come noi vorremmo fossero accaduti. C’è sempre qualcosa da correggere, qualcosa che vorremmo correggere dal nostro passato…”. Queste le riflessioni di Ponzio Pilato vergate dalla brillante penna di Giorgio Linguaglossa nel suo romanzo “Ponzio Pilato” (Mimesis, Milano 2009).
, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura) “Quando chiudo gli occhi non so ridire quali tra i miei ricordi siano quelli relativi a fatti realmente accaduti e quelli che invece sono rappresentazioni di fatti come noi vorremmo fossero accaduti. C’è sempre qualcosa da correggere, qualcosa che vorremmo correggere dal nostro passato…”. Queste le riflessioni di Ponzio Pilato vergate dalla brillante penna di Giorgio Linguaglossa nel suo romanzo “Ponzio Pilato” (Mimesis, Milano 2009). Ma Linguaglossa non è solo narratore, è poeta e critico letterario. Attività, questa, tanto acuta quanto eversiva e dissacratoria che ha trovato la sua massima espressione nel periodico “Poiesis”, quadrimestrale di letteratura da lui fondato e diretto dal 1993 al 2005 (dal 1997 in codirezione con Dante Maffia e Luigi Reina), e che continua tuttora attraverso collaborazioni a non poche riviste letterarie e pubblicazioni varie. Insomma un intellettuale in senso pieno e complesso del termine, in grado di affiancare con la capacità critica l’attività poetica. Lo fa con la determinazione e consapevolezza di chi ama la poesia in maniera incondizionata non accettando di vederla asservita, come talora accade, a sterili logiche di potere editoriale e alle mode del momento. Di qui le sue strenui lotte, le sue “azioni di guerriglia e di disturbo delle istituzioni poetico-letterarie, delle loro retrovie come anche delle posizioni di punta delle poetiche egemoni”, come scrive in un suo consistente volume dal titolo “Appunti critici. La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte” (coedizione Libreria Croce – Scettro del Re, Roma 2003).
La sua prossima fatica letteraria, che avrà esito a stampa per i tipi Edilet, sarà incentrata su “La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2009)”. In tale occasione abbiamo pensato di raccogliere il suo pensiero circa la poesia, quella con la “P” maiuscola, e le cogenti questioni intorno al “fare” poetico, estrapolando alcuni “passaggi” tratti da una recente intervista rilasciata al giornalista Fulvio Castellani ed utilizzando stralci dell’editoriale, a firma di Giorgio Linguaglossa, pubblicato sul n. 13 di “Polimnia” (rivista di poesia italiana pubblicata in rete sul web-site www.polimnia.it).
La poesia italiana degli ultimi trenta anni del Novecento sembra accusare una vera e propria “decadenza” dovuta ad un suo svuotamento e impoverimento culturale. Sono queste le cause di tale “crisi”? A mio modesto parere le cause della crisi della poesia sono più profonde e complesse. Le ragioni non possono essere scollegate dalla svalutazione del mondo della cultura e della stessa funzione intellettuale della cultura nel nuovo mondo mediatico. Con tutta probabilità, il settore poesia, quale anello più debole del comparto cultura, è quello che più violentemente e vistosamente ha subìto la recessione nel silenzio mediatico ed editoriale. Si è trattato di un fenomeno insieme sociologico ed intellettuale. È bene fare una precisazione e un distinguo. Quella che si profila all’orizzonte degli anni Ottanta e Novanta della fine del Novecento, è una vera e propria guerra di posizione tra i poeti della generazione del ’75 e quelli che hanno pubblicato dopo il 1975, i quali hanno dovuto subire la marginalizzazione e il silenzio. Si è verificato così un fenomeno sorprendente: da una parte i poeti ante 1975 che avevano l’interesse editoriale e pubblicitario ad affermarsi e consolidare le proprie posizioni di egemonia, dall’altra, la generazione dei post 1975, passata sotto silenzio, emarginata dai circuiti editoriali a maggior «diffusione nazionale» e indotta in una specie di limbo esistenziale-culturale. In questa situazione in cui la regola-spartiacque è stata stabilita da chi gestisce l’apparato editoriale e gli uffici stampa degli editori maggiori, non meraviglia la comparsa, verso la fine del Novecento, di una miriade di auto-antologie regionali, redazionali e amicali, prive di alcuna giustificazione estetica e di supporto critico credibile. Non interessa a nessuno valorizzare i libri di poesia, non interessa al presunto critico o recensore, il quale riceve già dal capo redazione dei giornali l’indicazione dei libri da segnalare, e non interessa all’apparato degli autori già arrivati al traguardo. Ma il tardo Novecento non è stato soltanto quella tabula rasa che qualcuno vorrebbe far credere, ci sono state riviste importanti come «Hebenon» diretta da Roberto Bertoldo, «Poiesis» diretta dal sottoscritto e la stessa «Polimnia» diretta da Dante Maffìa, che hanno preso posizioni critiche importanti, controcorrente e che hanno avviato una profonda riflessione sulle ragioni della crisi del «genere» poesia, avviando ad un tempo una riflessione sulle ragioni filosofiche della crisi.
Nel disordine mentale dei tempi moderni la parola poetica, che guarda verso l’alto e al dopo, ha ancora un senso? La parola poetica, come io la intendo, guarda verso la terra, è intrisa di terra. L’«alto» e il «dopo» sono dimensioni sconosciute al mio pensiero. Considero la poesia che parla di «spiritualità», una ipocrisia e una menzogna di iloti che blaterano parole «belle» per mondarsi la bocca vorace e riempirsi le tasche di denari. La parola, qualsiasi parola, e non solo quella cosiddetta poetica, deve nascere dalla terra e tornare alla terra. Deve essere terrestre, deve provenire da esperienze terrestri.
E’ importante, per un poeta, essere tradotto in spagnolo, inglese e bulgaro, come nel Suo caso? Una poesia è importante se incontra dei lettori: qui ed ora. Essere riscoperti e letti dopo secoli è come essere morti due volte. Essere tradotti in altre lingue è importante ma è molto più importante essere compresi qui, in Italia. Ritengo importante che tra i maggiori poeti contemporanei si instauri una piccola casa comune, per la sopravvivenza della poesia, e non come invece accade oggi che si lotta accanitamente per cancellare dall’esistenza la poesia di chi non appartiene al tuo feudo.
Nel 1995 Lei redige e firma, con altri poeti come Dante Maffia, Giuseppe Pedota, Lisa Stace e Maria Rosaria Madonna, il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica». Qual è il significato e come viene accolto nel contesto degli addetti ai lavori? Il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica» esce in quell’anno sul n. 7 di «Poiesis», ed un tipico prodotto intellettuale di fine ‘900. Con il Manifesto (in realtà un decalogo di undici pensieri intorno all’essere nel mondo), si imboccava una strada in salita: tentare di ricostruire uno zoccolo filosofico per la nascita della «nuova poesia». Il Manifesto non ha avuto nessuna eco, se si eccettuano poeti come Roberto Bertoldo e Sandro Montalto, non ha fatto «scuola» o «tendenza», come l’ha fatta ad esempio il «Mitomodernismo». Ma non si intendeva né fare scuola né costituire una tendenza. Il Manifesto è un documento teorico, e nient’altro. Si rendeva necessario chiudere un’epoca e voltare pagina. Ma per chiudere il libro del Novecento, bisogna averlo attraversato, occorre accettare il suo legato testamentario.
Il poliedrico artista Giuseppe Pedota, nel 2007, Le ha dedicato un volume monografico che, partendo dall’analisi della crisi della poesia nell’ultima decade del ‘900, attraversa la contemporaneità seguendo la Sua «nuova poesia ontologica». Cosa intende esattamente con questo termine? Nel Manifesto scrivevo intorno al concetto di una poesia che sappia «entrare dentro l’oggetto». So di aver usato un’espressione che può apparire criptica e sibillina, ma intendevo qualcosa di analogo al tipo di trattamento che un poeta russo come Osip Mandel’stam ha fatto sul «discorso poetico» della poesia russa con l’impiego della «metafora tridimensionale». Importare la «metafora tridimensionale» nella poesia italiana, così, ex abrupto, era veramente una impresa ciclopica. Non mi meraviglia quindi il silenzio intorno ad una problematica che rimane sostanzialmente estranea alla tradizione poetica italiana. Chiusi nel nostro asfittico provincialismo culturale, non parliamo più il linguaggio della grande poesia europea, me ne rendo conto. In questo senso ma solo in questo senso, sono un isolato. Direi, molto semplicemente, che «poesia ontologica» è quella che è fondata sull’ente «parola», cioè una entità non modificabile né interpolabile da parte del soggetto. Il mio modesto tentativo è stato quello di dare una risposta, in sede teorica e in poesia, a una questione epocale. La mia teorizzazione e la mia poesia tenta di stabilire un dialogo e un ponte con i lettori di oggi e del futuro, dare una speranza di leggibilità alla poesia, ricostruire un nuovo patto di onestà tra la poesia e il mondo. Insomma, ripartire dallo zero in cui è precipitata la poesia oggi in Italia.

Giuseppe Nativo

Bibliografia essenziale
Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica la sua prima opera poetica, Uccelli (Roma, Edizioni Scettro del Re) e, nel 2000, Paradiso (Edizioni Libreria Croce). Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Czeslaw Milosz. Dal 1992 dirige la collana di poesia delle Edizioni Scettro del Re di Roma. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura "Poiesis" che dirigerà fino al 1997, data in cui subentreranno nella direzione della rivista anche Dante Maffìa e Luigi Reina. Nel 1995 redige e firma, con altri poeti come Dante Maffìa, Giuseppe Pedota, Lisa Stace e Maria Rosaria Madonna il "Manifesto della Nuova Poesia Metafisica", pubblicandolo nel n. 7 della rivista da lui diretta. Nel 2001, pubblica il racconto lungo Storia di Omero nel volume collettivo Via Pincherle - Modelli Narrativi a Confronto, per le Edizioni Libreria Croce. Nel 2003 pubblica il libro di saggi sulla poesia moderna, Appunti Critici - La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Coedizione Libreria Croce - Scettro del Re). Suoi saggi sulla poesia contemporanea sono presenti in Linee odierne della poesia italiana a cura di Roberto Bertoldo e Luciano Troisio (Torino, Quaderni di Hebenon, 2001), e nel volume Sotto la superficie. Letture di poeti italiani contemporanei a cura di Gabriela Fantato (Milano, Bocca 2004). Per le edizioni Bonaccorso di Verona nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Ha curato l'apparato critico del numero speciale 33 di "Poiesis" del 2006 dedicato alle traduzioni di alcuni saggi del poeta russo Osip Mandel'stam e di dieci sue poesie inedite: Il fornello a petrolio (poesie per bambini). Nel 2006 per la poesia pubblica La Belligeranza del Tramonto (Faloppio, LietoColle 2006). Alcuni suoi saggi sulla poesia contemporanea sono apparsi in "Numen" del 2007, quaderno di critica edito dalla rivista di segni contemporanei "Altroverso" di Campobasso. Ha curato le presentazioni critiche dei poeti inseriti nella Antologia La poesia degli anni Novanta (Roma, Scettro del Re 2002) ed è presente con alcune composizioni nella Antologia della poesia erotica contemporanea (Roma, Ati Editore, 2006). Collabora in veste di critico con le riviste di letteratura contemporanea "Polimnia", "Hebenon" e "Altroverso".
Sue poesie sono state tradotte in spagnolo, inglese e bulgaro. In quest'ultima lingua è stata pubblicata nel 2007 la traduzione integrale de La Belligeranza del Tramonto.
Nel 2007 è apparso il saggio Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in Atti del Convegno E' morto il Novecento? Rileggiamo un secolo per le edizioni Passigli di Firenze. È in corso di pubblicazione il saggio La nuova poesia modernista italiana presso le Edizioni Dell’Orso di Alessandria e Appunti sulla nuovissima poesia contemporanea.
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