SEMPRE PIU' POLIGLOTTI NELLA TORRE DI BABELE

UNA RICERCA SPIEGA PERCHE' PARLARE PIU' DI UNA LINGUA STRANIERA STA DIVENTANDO LA REGOLA NUMERO UNO PER LA SOPRAVVIVENZA. E PER CHI RESTA INDIETRO NON C'E' TRADUZIONE SU GOOGLE CHE POSSA AIUTARE.
Salerno, (informazione.it - comunicati stampa - istruzione e formazione) UNA RICERCA SPIEGA PERCHE' PARLARE PIU' DI UNA LINGUA STRANIERA STA DIVENTANDO LA REGOLA NUMERO UNO PER LA SOPRAVVIVENZA. E PER CHI RESTA INDIETRO NON C'E' TRADUZIONE SU GOOGLE CHE POSSA AIUTARE.

Nel suo discusso Babel no More, l'americano Micheal Erard racconta le sorprendenti storie di alcuni autodidatti poliglotti, capaci di parlare e comprendere tra le 15e le 18 lingue. Un'occasione per riaprire il dibattito sul crossover linguistico ma soprattutto su quanto sia vitale per i giovani saper comunicare e interpretare un mondo reale e digitale sempre più simile alla Torre di Babele.

Il multilinguismo è oramai un bisogno primario delle nuove generazioni: il 67% dei polacchi e il 64% dei francesi contro il 48% dei tedeschi e il 43% degli italiani afferma di parlare correttamente altre due lingue oltre la propria. Spiccano anche in Italia i "2G", gli immigrati di seconda generazione, nati o arrivati piccolissimi, da sempre esposti a due o tre lingue.
Possibile che caratteristiche culturali, ambientali e neurologiche permettono ad alcuni di raggiungere livelli eccelsi, mentre altri arrancano tutta la vita cercando di raggiungere un semplice "inglese scolastico"? Nel suo libro Michael Erard parla espressamente di un “dono” neurologico di cui sarebbero dotati i poliglotti, accompagnato da fattori che li hanno obbligati a imparare sempre nuove lingue.

Passando dagli esperimenti alla vita di tutti i giorni, quello che emerge è che per destreggiarsi nella moderna Babele, bisogna saper parlare, leggere e scrivere in due o più idiomi, a cominciare, e non c'è scampo, dall'inglese.

Numerosi studi dimostrano che le lingue si apprendono spontaneamente fino alla pubertà, passato questo periodo il cervello perde plasticità ed è obbligato a ricorrere ad altri strumenti per apprendere, come ad esempio la memoria. Questo non vuol dire che passata l'età giovanile non si riescano più a imparare le lingue, ma i percorsi neurologici diventano meno automatici e facili. E uno dei motivi per cui gli italiani non parlano bene gli idiomi stranieri è proprio perché questi non vengono insegnati fin dall'infanzia.

Sottolinea a tal proposito in un'intervista Linda Rossi Holden, docente di Didattica della lingua inglese all'Università di Modena e Reggio Emilia, «oggi in Italia, nonostante il bisogno di conoscenza di lingue straniere, il livello di insegnamento resta basso e le lingue riescono a impararle soltanto i ragazzi sostenuti economicamente dalle famiglie». E bisogna imparare a decifrare le sigle dei livelli linguistici europei per capire quando sia grande il problema dei giovani italiani, che nel 44% dei casi si presentano all'Università o peggio nel mondo del lavoro con un semplice inglese "scolastico".

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