Napoli: Luigi De Magistris nella libreria del Vomero. “Iocisto” sabato 28 febbraio ha presentato se stesso e il suo libro, "Assalto al PM. Storia di un cattivo magistrato", edito da Chiarelettere

Nella “sua” Vomero, ai vomeresi che lo conoscono e riconoscono in strada, nella Napoli che è la sua città. De Magistris esprime se stesso, le sue convinzioni, le sue delusioni, il suo desiderio di giustizia, proprio a chiare lettere.
Napoli, (informazione.it - comunicati stampa - società) Più chiare di così, le “lettere” che il nostro sindaco Luigi de Magistris esprime, non potrebbero essere. Nella “sua” Vomero, ai vomeresi che lo conoscono e riconoscono in strada, nella Napoli che è la sua città. De Magistris esprime se stesso, le sue convinzioni, le sue delusioni, il suo desiderio di giustizia, proprio a chiare lettere. Forse anche per tale chiarezza si fa amare. I cittadini di questa sofferta e splendida città, che da tempo non riesce neanche a essere “la città del sole”, certamente non possono dimenticare i loro problemi e neanche risolverli “comprendendo” e sentendosi vicini al proprio sindaco, ma qualcosa di un po’ miracoloso comunque avviene. Questo “San Giorgio” integerrimo che sembra desideri passare nel fuoco a volte bruciante e devastante della politica, senza lasciarsi corrodere, lo sentiamo riflesso nel testo che ha scritto e in ogni parola, nella lettera accorata di commiato di dimissioni dall’ordine giudiziario al Presidente della Repubblica G. Napolitano, il 28 settembre 2009, la cui lettura, nel corso della manifestazione, da parte della curatrice della stessa, dr.ssa Federica Flocco, ha fatto il silenzio nella sala e un moto di tristezza ancora presente ha fatto sì che de Magistris si passasse la mano sul volto, chiudendo un momento gli occhi:- “Le scrivo questa missiva soprattutto nella sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. E’ una lettera che non avrei mai voluto scrivere. E’ uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute democratico della nostra amata Italia. E’ una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’ordine giudiziario. Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione.” No, forse il nostro ex capo di Stato Giorgio Napolitano non poteva immaginare, ma chi la ascoltava, ci ha provato, specialmente tenendo presente che il nostro sindaco diplomandosi al Liceo Adolfo Pansini, nel quartiere Vomero di Napoli, dopo la laurea in Giurisprudenza (con la votazione di 110/110 e lode), nel 1993 ha intrapreso la carriera di magistrato, seguendo l’esempio di suo padre, di suo nonno e del suo bisnonno. Non deve dunque essergli costata poco questa scelta: dimettersi dalla Magistratura il 19 novembre 2009, poco dopo l'insediamento al Parlamento Europeo, per sentirsi oggi definire come: “politico ed ex magistrato italiano” E’ sindaco di Napoli dal 1° ottobre 2011, con alterne vicende che non è facile riassumere e neanche utile. Una parte delle mie riflessioni sono state esposte in una mia lettera aperta, diretta proprio a lui, che probabilmente non l’ha mai letta e cominciava: -“Gentilissimo signor sindaco, dicono che viviamo nella “Terra dei fuochi” – Un link per tutti:- http://www.frosinonemagazine.it/lettera-aperta-al-sindaco-de-magistris-in-favore-della-nostra-terra/ Dico questo per precisare che il mio atteggiamento da giornalista intende essere scevro da sentimentalismi e simpatie personali. Come dovrebbe essere sempre l’atteggiamento di un giornalista e molto probabilmente è possibile soltanto se si mantenga economicamente con un altro lavoro. Resta il fatto che tutti gli attacchi subiti da moltissimi fronti all’uomo de Magistris ci spingano a credere (per contrasto), che in lui deve necessariamente esserci una luce nuova. Una determinazione da monellaccio napoletano che persevera nelle sue convinzioni, mescolata alla lucida e realistica attenzione ai fatti, di un magistrato, che non ha mai guardato in faccia nessuno e forse proprio per questo, scevro di “contentini”, è passato indenne nel fuoco nemico. Di quali nemici? Molti, evidentemente e forti e di molti fronti, teoricamente in contrasto tra di loro. Teoricamente. Al tempo dell’inchino fatto “dalla Madonna” (che ci perdoni dall’alto), a Oppido Mametina (poi soggetto a una indagine), al momento che la processione si fermò davanti all’abitazione del boss della ‘ndrangheta (di cui non riporto il nome per non dargli ulteriore pubblicità), il procuratore di Reggio Calabria ritenne fosse: “(…) un fatto grave che dimostra come la ‘ndrangheta controlli il territorio. Persino una manifestazione religiosa è piegata in ossequio di un boss.”.A parlare di “inchini” e di rispetto, di onore, di legalità, di colpe, di religione, di Chiesa, di potere, ben altre cose tornano alla mente, in un lampo. De Magistris ne parla costantemente, “senza peli sulla lingua”, ovunque può e anche dove non vorrebbero. Questo necessariamente ce lo fa sentire vicino, nonostante “i rimproveri”, forse anche ingiusti, che si possono fare a qualcuno, quando ci si attende troppo da lui. “Per i miracoli si sta attrezzando”, forse. Anche lui certamente non dimentica le parole del nostro grande Papa Francesco, dal momento che, nel corso della messa nella spiana di Sibari, sentenziò: “Quando non si adora il Signore si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza, la vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Quelli che non sono in questa strada di bene, come i mafiosi, questi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”. Invece, cosa accade in questa nostra strana Italia? Che vengano scomunicati, colpiti, puniti, uccisi, radiati, emarginati, proprio quelli che praticano “il bene dei cittadini”. Succede. Persi un caro giovane collega tanti anni fa (tra i tanti giornalisti uccisi per avere fatto troppo bene il loro dovere), Giancarlo Siani. Era del 59, io del 49. Al tempo, un ragazzo. Che dire, se non comprendere de Magistris quando sostiene che, se fosse stato magistrato ai tempi di Falcone e Borsellino, le mafie lo avrebbero ucciso? Ma ancora di più spaventa quel suo:- “Negli anni successivi, però, la criminalità organizzata è riuscita a infiltrarsi sempre di più all'interno delle istituzioni e ha mutato profondamente il suo modo di agire, non ricorrendo più come in passato alle bombe e agli attentati". Spaventa. Bianca Fasano
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