LA SICUREZZA SUL LAVORO IN EPOCA DI CRISI COSTANTI

L'attuale cumularsi di crisi politiche, economiche e sociali rischia di vanificare o compromettere le conquiste sociali in materia di sicurezza sul lavoro.
Villanterio (PV), (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni)

Una guerra sta sconvolgendo l’Ucraina e l’Europa, con drammatiche conseguenze umanitarie. Il mondo non si è ancora ripreso dalla crisi economico-finanziaria del 2008 e dalla pandemia mondiale, che ecco affacciarsene una ancora peggiore, questa volta geopolitica, ma con marcati riflessi sulla società e sull'economia. L'inizio del XXI secolo, potrà essere ricordato come un periodo di crisi costanti. Il quadro attuale induce a fare alcune considerazioni sull’impatto che la guerra avrà anche sull' economica, ma soprattutto sulle politiche sociali che, non dimentichiamolo, sono il frutto di battaglie e conquiste iniziate alla fine del 1800 e costate il sacrificio di alcune generazioni. Per questo è giusto chiedersi se non rischiamo di fare passi indietro rispetto a importante conquiste sociali, come ad esempio in materia di salute e sicurezza dei lavoratori oggetto della nostra analisi, di cui si gettarono i fondamenti giuridici più di un secolo fa.

Per le piccole e medie imprese, la sicurezza dei lavoratori costituisce uno sforzo anche economico che non deve essere visto solo dal punto di vista dei costi diretti legati alla prevenzione, ma anche di quelli indiretti legati al tempo, che questo tipo di azienda deve dirottare dai quotidiani compiti di produzione e gestione alla formazione in aula o sul campo.

Il problema è particolarmente importante per le nostre microimprese (meno di 10 lavoratori), le piccole (da 10 a 50 lavoratori) e le medie (da 5 a 250 lavoratori). Queste categorie rappresentano il 95% circa delle nostre imprese, ma solo poco più dell’1,5% è appresentato dalle medie.

Nonostante ciò, raramente la piccola impresa è stata al centro del discorso giurisprudenziale italiano sul lavoro e dei disegni di riforma della regolazione del lavoro.

La maggioranza di esse non attua adeguate misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come risulta dallo studio condotto dall’European Agency for Safety and Health at Work, da cui emerge che gli infortuni sul lavoro nelle piccole imprese rappresentano l’82% di tutti gli infortuni sul lavoro ed il 90% di tutti gli incidenti mortali. Anche la più recente “Seconda indagine europea tra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti (ESENER-2)” mostra che i lavoratori delle piccole imprese sono soggetti a maggiori rischi e le difficoltà nella gestione della salute e sicurezza è tanto più rilevante quanto più è ridotta la dimensione dell’impresa.

Ci sono diverse ragioni che espongono le piccole imprese ai rischi derivanti dalle attività lavorative. Vediamone qualcuna.

Prima ragione

Queste imprese sono condizionate dalle scarse risorse economiche che spesso inducono a ridurre le spese legate all’attività di prevenzione.

I costi della prevenzione consistono non solo nelle spese vive per la messa in sicurezza dei macchinari e degli ambienti di lavoro, ma anche nel personale qualificato (spesso consulenti esterni all’organico aziendale), senza contare il costo indiretto derivante dal tempo tolto alla produzione per impegnare il personale nella formazione obbligatoria.

Gli studi mostrano che la spesa per la prevenzione degli infortuni si traduce, in un’ottica a più lungo termine, in un risparmio per la stessa impresa, ma tale aspetto non viene solitamente preso in considerazione soprattutto dalle realtà di minori dimensioni.

Seconda ragione

Carenza di cultura delle regole e quindi anche di cultura della sicurezza e della prevenzione. La mentalità frequente nelle piccole realtà imprenditoriali (ribadiamolo non sempre e non dappertutto) è quella di considerare la valutazione dei rischi e la formazione in materia di sicurezza come un mero adempimento burocratico. Nei lavoratori spesso manca una percezione del rischio aderente alla realtà, ma anche gli stessi datori di lavoro non pretendono sempre dai propri dipendenti il rispetto pedissequo delle norme di sicurezza.

Terza ragione

Scarsa presenza nelle piccole imprese di quelle particolari figure aziendali costituite dai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) “effettivi”. Proprio nelle piccole realtà, infatti, c’è l’abitudine di nominare il RLS ad opera non dei lavoratori come prevede il D.Lgs. n. 81/2008 (all’art. 47, comma 3), ma da parte del datore di lavoro. Questo rischia di rendere inefficaci gli interessi specifici per cui è stata prevista tale figura.

Paradossalmente la figura del RLS diventa tanto più importante tanto più è piccola l’azienda, visto che la riunione periodica – in cui le persone coinvolte nella sicurezza si riuniscono e si confrontano sui fattori di rischio e sull’elaborazione del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) – avviene una volta l’anno solo nelle imprese da 15 dipendenti in su, in esecuzione diretta di una norma o in occasione di eventuali importanti variazioni delle condizioni di esposizione al rischio che hanno riflessi sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. Nelle realtà di dimensioni inferiori, la convocazione della riunione è rimessa alla “facoltà”(quindi alla buona volontà) proprio del RLS e questo aumenta i rischi.

Non dimentichiamo che questa figura aziendale è praticamente il sensore interno di eventuali carenze degli apparati di prevenzione e sicurezza e a livello microeconomico un’ emanazione giuridica delle istituzioni preposte alla sorveglianza della sicurezza sul lavoro. Ancora una volta invece, l’obbligo viene interpretato più come un vulnus suscettibile di ostacolare la macchina operativa e organizzativa dell’impresa, che come elemento di prevenzione di incidenti che possono in definitiva costare assai caro in termini di incolumità fisica e danni economici. Alla lunga, è ormai dimostrato che i costi in termini di vite umane e di infortuni e le loro ripercussioni economiche sulle famiglie, l’impresa e lo stato, sono assai più alti di quelli che si sarebbero affrontati per la prevenzione.

Quarta ragione

Complessità del quadro normativo (costituito da 13 Titoli e 51 Allegati) che rende la normativa di difficile interpretazione ed applicazione soprattutto per le realtà più piccole che difficilmente dispongono di personale esperto e specializzato in grado di individuare, nel complesso corpus normativo, le norme riferibili alla propria realtà produttiva e di tradurne i precetti astratti in adempimenti pratici.

La semplificazione delle norme potrebbe apparire solo a prima vista come una soluzione, perché ogni semplificazione in materia di salute e sicurezza rischia di produrre anche una riduzione delle tutele, specie ove intervenga nella delicata quanto centrale attività di valutazione dei rischi. Per questo in dottrina si sono giustamente sollevate non poche critiche nei confronti di tali semplificazioni, soprattutto, ove prevedevano originariamente l’autocertificazione (possibilità che, non a caso, ha determinato l’apertura a carico dell’Italia di una procedura di infrazione della commissione europea) e laddove tutt’ora prevede (a seguito delle modifiche intervenute con il c.d. “Decreto del fare”, DL 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni nella Legge 9 agosto 2013, n. 98) il rischio di uno strisciante ritorno all’autocertificazione per le attività a basso rischio infortunistico.

Conclusione

Queste considerazioni sono tutt’altro che astratte se ricordiamo che nel solo primo bimestre del 2022, c’è stato un incremento degli infortuni di + 47,6% rispetto allo stesso periodo del 2022, cioè 121.994 contro 82.634 e +9,6% di morti, 114 contro 104. Sono cifre spaventose se vengono guardate in termini di media giornaliera. Per i decessi significa praticamente 2 morti al giorno con picchi addirittura superiori. Pensiamo che venerdì 15 aprile 2022 ci sono stati quattro morti in poche ore in tutta Italia. In quella giornata nera, è emersa l’estrema eterogeneità anagrafica delle vittime che andavano da 23 ai 60 anni.

Nel 2020, in piena emergenza Covid e lock-down, ci fu una netta riduzione degli infortuni rispetto al periodo antecedente allo scoppio della pandemia per la forte riduzione in presenza dei lavoratori e di alcune attività produttive. Nel 2022 i numeri, come detto, sono tornati prepotentemente a crescere per il ritorno a livelli di interscambio sociale e produttivo simili a quelli precedenti.

E’ quindi fondamentale che le crisi politiche economiche e sociali che negli ultimi anni si susseguono a ritmi sconcertanti, e con le quali sembra ci si debba abituare a convivere, non abbiano un impatto ulteriore sulle questioni legate alla sicurezza del lavoro e sugli investimenti necessari per la diffusione degli strumenti di prevenzione.

Fonti:

Life 81; repertoriosalute.it; Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro

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