OMBRE di Daniela Terigi Rossi

Venerdì 26 ottobre 2007, alle ore 21.00 nella Sala SS.Annunziata del Chiostro di S.Agostino a Pietrasanta, sarà presentato il nuovo volume di poesie della dott.ssa Daniela Terigi dal titolo "Ombre" casa editrice Petrartedizioni. La presentazione sarà curata dall'editore del volume Giovanni Bovecchi, con la partecipazione di Marco Regattieri. Voce recitante: Andrea Giuntini.
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L’ombra e la luce nella poesia di Daniela Terigi Rossi come dialettica e metafora di “patior” e “desire”.

Non ci sarà sortita tu sei dentro
e la tua fortezza è pari all’universo
dove non è diritto né rovescio
né muro esterno né segreto centro.
Jorge Louis BORGES (ELOGIO DELL’OMBRA)

Il grande inganno delle scienze
è credere che la luce elettromagnetica
sia l’unica luce possibile.
Giuliana CONFORTO (UNIVERSO ORGANICO)

Es la luz que traspasa el cristal virgen
Vincente ALEIXANDRE (Premio Nobel per la Letteratura,1977)

O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi,
e da te intelletta e intendente te ami e arridi.
DANTE (PARADISO)

El puro azul ennoblece mi corazón. Sólo tú, ámbito altísimo
inaccesible a mis labios, das paz y calma plenas
al agitado corazón con que estos años vivo.
Vincente ALEIXANDRE (Premio Nobel per la Letteratura,1977)

La struttura dialettica della raccolta di poesie di Daniela Terigi Rossi dal titolo “Ombre” si snoda appunto intorno ai tre momenti estetici hegeliani della conoscenza: “nulla”, “divenire”, “essere” corrispondenti ad “ombre”, “cristalli di luce”, “indaco”. Invero tale processo è teorizzato anche nel De umbris idearum di Giordano Bruno.

Il cammino esistenziale che tende all’agape (Indaco) ovvero ad uno stato di quiete tensione spirituale suppone e pre-suppone la coscienza del dolore come dato umanistico sperimentale che, nei poemi, viene esaltato e talvolta superato esteticamente a mezzo del grande compito della poesia tout-court e cioè quello di anestetizzare o per converso potenziare l’elemento soggettivo dell’emozione all’interno di una visione del mondo completamente speculare o ribaltata.

Capovolgendo quindi, come ogni intenzione poetica capovolge, il dato razionale, il cogito ergo sum di Cartesio, Daniela Terigi Rossi, con Breton, sottolinea, anche insistentemente, il patio ergo sum quale elemento necessario per giungere a e raggiungere l’equilibrio tra mente e corpo, tra ciò che qui è l’istinto primario dell’emozione e il suo controllo estetico.

La poesia di Daniela Terigi Rossi quale potente mezzo di celebrazione della vita o della morte e, appunto, della vita in quanto morte, non esorcizza il dolore ma ne fa l’assunto, diremmo, autoreferenziale per poter iniziaticamente favorire prima la luce, poi l’indaco quale stadio superiore della luce, quello più spirituale.

Ancora Breton sembra emergere “lasciate che i sentieri del desiderio non si coprano di sterpi” poiché l’indaco è cercato, invocato e osannato: “cristalli di luce” rappresenta il cammino nel suo stadio del desiderare ancora in una forma di pothos romantico e struggente che si abbandona in Indaco in una poetica più classica e sintetica, come in un sorta di oceano cosmico, come in un leopardiano “naufragar m’è dolce in questo mare”.

E’ il “terso cristallo” dalle molteplici facce l’elemento di paragone dell’Anima in santa Teresa D’Avila preconizzando ante litteram la moderna psicananalisi. E luce fu. E’ l’indaco lo stadio della luce più vicino alla creazione del mondo celebrata in “Raffigurazione della luce” un dipinto del 1892 di G. Previati alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Dal “cristallo” di santa Teresa D’Avila, ovvero dall’anima modernamente e laicamente intesa Daniela Terigi Rossi solca le pendici di un ipotetico “Purgatorio dantesco” fino ai confini del più alto grado del cielo, così distante e così vicina al “patior” delle Ombre, così vicina e così distante dal “desire” di Cristalli di Luce.

Il percorso è certamente di natura iniziatica come uno psicocosmogramma circolare sanscrito necessario all’incontro dell’uomo con Dio che presuppone uno stato di coscienza alterato dalla illuminazione (altro termine che evoca l’irradiazione di una luce superiore ai fini della conoscenza). Non senza intezione in tal senso è quel “Una voce mi chiese/quando ormai ero già sveglia:/ Come ti chiami?/ E io risposi:/ Emmaus Daniel”.

In quest’ultimo episodio poetico possiamo riconoscere lo stato di transizione psichica precedente nel passaggio “quando ormai ero sveglia” e il richiamo alla divinità incarnata, come in una sorta di trascinamento del divino nell’umana esperienza, smascherato, involontariamente, nell’appena sussurrato nomen, tra sogno e veglia, di Emmaus Daniel che in sé contiene i relitti letterari di Dio e la sua rivelazione dopo l’ombra della passione e della croce nella luce della risurrezione.

Giovanni Bovecchi
Ufficio Stampa
Romina Capraro
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