È morto Mario Vargas Llosa, il Nobel che raccontò l’America Latina e amò l’Europa

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ESTERI

A Lima, all’età di 89 anni, si è spento Mario Vargas Llosa, scrittore peruviano naturalizzato spagnolo, premio Nobel per la letteratura nel 2010. Nato ad Arequipa il 28 marzo 1936, è stato uno dei pilastri del boom latinoamericano, insieme a García Márquez, Cortázar e Fuentes, lasciando un’impronta indelebile nella narrativa contemporanea con opere come Conversazione nella cattedrale e La città e i cani.

La sua voce, capace di mescolare impegno politico e profondità letteraria, lo ha reso un intellettuale scomodo per i regimi autoritari, che ha combattuto senza riserve. «Odio i dittatori», ripeteva spesso, senza nascondere il suo attaccamento all’Europa, dove ha trascorso gran parte della vita. La sua scrittura, affilata e visionaria, esplorava i conflitti tra tradizione e modernità, tra solitudine e progresso, temi che torneranno nel suo ultimo lavoro, I venti, romanzo breve in uscita postumo per Einaudi in autunno. Definito "malinconico e umoristico", il testo – come ha anticipato l’editore – affronta «il senso di alienazione di chi vive in un’epoca che non riconosce più».

Vargas Llosa, che amava definirsi «uno scrittore di carta e matita», ha sempre creduto nel potere eversivo della letteratura. In un’intervista a Famiglia Cristiana, spiegò: «Gli uomini non possono vivere senza romanzi perché non sono contenti della loro vita. La distanza tra il reale e l’immaginato si colma con la scrittura». Le sue parole, come i suoi libri, rivelano una mente lucida e inquieta, capace di scrutare le contraddizioni dell’uomo con ironia e disincanto.