Pietro Parolin, il favorito che non è diventato papa: i retroscena di un conclave senza sorprese





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Era considerato il nome più forte, quello su cui molti scommettevano, eppure il cardinale Pietro Parolin non è riuscito a superare l’ultimo ostacolo. La sua corsa al soglio pontificio, che sembrava inarrestabile, si è interrotta quando dal balcone di San Pietro non è risuonato il suo nome. Un epilogo che, sebbene atteso da chi conosce le dinamiche dei conclavi, ha lasciato una vena di amarezza tra i sostenitori che speravano in un papa italiano dopo oltre mezzo secolo.
La storia si ripete: «Chi entra papa in conclave, esce cardinale», e Parolin non ha fatto eccezione. Se avesse vinto, sarebbe stato un caso singolare, poiché l’ultimo Segretario di Stato asceso al pontificato era stato Eugenio Pacelli, Pio XII, nel 1939. Ma il destino, questa volta, ha preferito un altro percorso. Il fatto che il protodiacono Francois Mamberti non abbia pronunciato “Petrum” è stato il segnale definitivo: il sogno si era infranto.
I motivi della mancata elezione affondano le radici nelle complesse dinamiche pre-conclave. Se in Europa e nelle Americhe Parolin godeva di ampio sostegno, lo stesso non si può dire per Africa e Asia, continenti sempre più decisivi nelle votazioni. A pesare, forse, anche certi attriti del passato, come quelli con l’ex Segretario di Stato Tarcisio Bertone, che in Vaticano hanno lasciato strascichi non del tutto sopiti.
Eppure, proprio quelle tensioni non gli hanno impedito di diventare un pilastro della diplomazia vaticana sotto Francesco, che lo ha voluto al suo fianco per gestire i dossier più delicati. Un uomo di equilibrio, capace di mediare tra correnti opposte, ma forse proprio questa caratteristica – essersi trovato sempre al centro, senza mai schierarsi troppo – gli ha precluso il passo decisivo.