Gaza, l’occupazione permanente che ricorda Falluja

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ESTERI

C’è qualcosa di inquietantemente familiare nel piano israeliano per Gaza, un progetto che sembra riprendere, quasi pedissequamente, le pagine più buie dell’occupazione statunitense in Iraq. Come documentato da Amir Tibon su Haaretz, la strategia di Benjamin Netanyahu e Ron Dermer ricalca quella adottata a Falluja due decenni fa: la stessa retorica coloniale, le stesse promesse di aiuti umanitari condizionati, lo stesso vuoto politico mascherato da controllo militare. Gaza, ridotta a un cumulo di macerie, viene ora trattata come un territorio da smembrare, con la popolazione civile costretta in campi di filtraggio e centri di smistamento, mentre si profilano ombre di deportazioni definitive.

Intanto, l’Unione Europea naviga in acque torbide, divisa tra dichiarazioni di facciata e l’incapacità di opporsi concretamente ai crimini di guerra. Durante il question time al Senato, Giorgia Meloni ha espresso un sostegno vago ai piani di ricostruzione guidati dai Paesi arabi, menzionando di sfuggita la soluzione dei due Stati, mentre l’esercito israeliano lanciava l’operazione Carri di Gedeone, consolidando la presenza militare nella striscia con l’intenzione dichiarata di rimanervi a tempo indeterminato.

Sul fronte militare, Hamas appare sempre più debole. Secondo fonti d’intelligence, i miliziani rimasti a Gaza non supererebbero i cinquemila, decimati da mesi di bombardamenti che hanno lasciato un bilancio umano insostenibile. Se da un lato l’organizzazione jihadista è stata falcidiata, dall’altro la sofferenza dei civili ha raggiunto livelli inaccettabili, suscitando condanne internazionali che, però, raramente si traducono in azioni concrete.