Il caso Chiara Poggi: il genetista difende le analisi sul dna degradato

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Francesco De Stefano, il genetista che nel 2013 si occupò delle analisi forensi nel caso dell’omicidio di Chiara Poggi, a Garlasco, in provincia di Pavia, torna a parlare delle indagini che hanno segnato uno dei casi più discussi della cronaca nera italiana. Intervistato dall’Adnkronos, De Stefano ha difeso le conclusioni del suo lavoro, sottolineando come il materiale genetico rinvenuto sulle unghie della vittima fosse in gran parte degradato e, di conseguenza, inutilizzabile per identificazioni certe. «Il materiale analizzato era mischiato con abbondantissimo sangue della vittima», ha spiegato, aggiungendo che «le linee guida indicano chiaramente che, in presenza di risultati dubbi e non confermati da ulteriori verifiche, è preferibile non avventurarsi in interpretazioni rischiose».
La vicenda, che risale al 2007, vide Chiara Poggi, una giovane di 26 anni, trovata senza vita nella casa di famiglia. Il suo fidanzato, Alberto Stasi, fu inizialmente accusato e poi condannato per l’omicidio, ma il caso è stato caratterizzato da numerosi colpi di scena, tra cui l’annullamento della prima sentenza e un processo ‘bis’ che ha riacceso il dibattito sulle prove scientifiche. Stasi, nella telefonata al 118 subito dopo il ritrovamento del corpo, aveva dichiarato: «Credo che abbiano ucciso una persona, non ne sono sicuro, forse è viva», descrivendo una scena con «sangue dappertutto». Una versione che, nel corso degli anni, è stata più volte messa in discussione.
De Stefano, raggiunto anche dall’ANSA, ha ribadito che il dna rinvenuto sulla scena del crimine era «scarso e degradato», tanto da non consentire di formulare ipotesi identificative certe. «Fu trovato il dna di almeno due o tre persone», ha ricordato, «ma le tracce non erano utili per l’identificazione». L’esperto, all’epoca direttore della Medicina legale dell’Università di Genova, ha spiegato che, durante il processo ‘bis’, si decise di procedere con estrema cautela proprio per l’inaffidabilità del materiale genetico. «Adesso quel materiale non c’è più», ha aggiunto, sottolineando come le condizioni delle tracce avessero reso impossibile una comparazione definitiva.
Intanto, il caso continua a far discutere. Durante un incontro organizzato dall’Inner Wheel Club di Lucca, la criminologa Roberta Bruzzone, intervenuta insieme alla vice dirigente della Squadra Mobile di Lucca, la dottoressa Zamarco, ha affrontato il tema del femminicidio e della manipolazione affettiva. Prima dell’evento, Bruzzone ha risposto ad alcune domande sul caso Garlasco, affermando di non credere che le sentenze possano essere ribaltate. «Non credo si possano ribaltare le sentenze», ha dichiarato, senza entrare nel merito delle prove scientifiche ma lasciando intendere che il dibattito rimane aperto.