Guerre e dazi non frenano i porti del Mediterraneo, il Mezzogiorno traina l’economia marittima




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Redazione Economia
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Nonostante le tensioni geopolitiche che hanno rimodellato le rotte commerciali globali, da Suez a Hormuz fino a Panama, e nonostante l’introduzione di nuove tariffe doganali da parte degli Stati Uniti guidati da Trump, i porti del Mediterraneo continuano a dimostrare una resilienza sorprendente. È quanto emerge dal dodicesimo rapporto «Italian Maritime Economy», elaborato da Srm, il centro studi legato a Intesa Sanpaolo, presentato a Napoli. I dati confermano che l’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, mantengono un ruolo centrale nello short sea shipping, il traffico marittimo a corto raggio, con 302 milioni di tonnellate movimentate nel 2024.
Il Mediterraneo, definito ancora una volta mare nostrum per la sua capacità di attrarre flussi commerciali, si conferma un’area dinamica nonostante le deviazioni obbligate verso il Capo di Buona Speranza, scelte da molte compagnie per evitare le zone di conflitto. I 25 principali scali portuali della regione hanno gestito 62 milioni di TEU (twenty-foot equivalent unit), registrando una crescita del 5,1% rispetto all’anno precedente. Un risultato che contrasta con le previsioni più pessimistiche legate alle turbolenze internazionali, dalle guerre alle politiche protezionistiche.
L’Italia, in questo contesto, si distingue come leader nell’area euro-mediterranea, dove il volume complessivo di merci ha raggiunto i 628 milioni di tonnellate. Il Paese non è più visto come una semplice appendice delle Alpi, ma come una piattaforma logistica strategica, grazie anche agli investimenti previsti dal Pnrr, dal Piano Mattei e dalla Zes unica. Le prospettive di crescita, secondo lo studio, sono legate anche alla cosiddetta Via del Cotone, un corridoio che punta a rafforzare i collegamenti tra Europa, Africa e Asia.
A livello globale, il commercio marittimo nel 2024 è aumentato del 2,1%, toccando 12,6 miliardi di tonnellate, con stime che indicano un’ulteriore espansione, seppur moderata, tra lo 0,2% e l’1,5% nei prossimi due anni. Un segnale che, nonostante le incertezze, il settore mantiene una vitalità inattesa.