I primi 40 migranti deportati in Albania: ammanettati e trasferiti con la forza

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INTERNO

Scendono dalla nave militare Libra con i polsi legati da fascette, come merce pericolosa da smaltire. Sono 40, tutti senza diritto d’asilo e già segnati da un decreto d’espulsione, i primi migranti deportati dall’Italia al Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gjader, in Albania. Un trasferimento concordato tra Roma e Tirana, che ha visto la Marina militare italiana – presto sostituita da mezzi albanesi – sbarcarli sotto lo sguardo di decine di agenti in tenuta antisommossa, pronti a caricare chiunque avesse tentato di resistere.

Sul molo di Shengjin, tra gli scudi e i caschi della polizia, c’era anche l’europarlamentare Pd Cecilia Strada, che ha denunciato il «trattamento inumano» riservato a persone già private della libertà. «Li trattano come rifiuti», ha protestato, mentre le autorità li accompagnavano verso le camionette dirette al Cpr, dove rimarranno fino a 18 mesi in attesa che i loro Paesi d’origine ne accettino il rimpatrio.

Quello di ieri è stato presentato come un atto simbolico, una dimostrazione di forza del governo italiano, che sembra emulare i video delle deportazioni in catene diffusi dalla Casa Bianca. Ma dietro la retorica del «pugno duro» si nasconde una strategia che trasforma esseri umani in nemici da esibire, giustificando così un approccio sempre più repressivo.