Stati Uniti e Houthi, l’Oman tessitore di pace tra affari e diplomazia


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Per arrivare alla tregua tra Washington e il movimento yemenita degli Houthi, che per mesi ha minacciato la stabilità del Mar Rosso con attacchi a navi commerciali e obiettivi israeliani, sono stati necessari mediatori abituati a muoversi tra ombre e luci. Tra questi, il Sultanato dell’Oman ha giocato un ruolo decisivo, confermando una vocazione diplomatica che lo rende un interlocutore unico in una regione attraversata da tensioni.
Il Paese, che da anni coltiva relazioni con attori spesso in conflitto tra loro, ha agito su più livelli: da un lato, attraverso canali ufficiali, con negoziatori di professione; dall’altro, affidandosi a figure meno visibili ma altrettanto influenti, provenienti dal mondo degli affari o dell’intelligence. Questi "facilitatori", come vengono definiti nelle cancellerie, hanno permesso di superare ostacoli che altrimenti avrebbero bloccato il dialogo.
L’intesa, annunciata dal presidente americano Trump prima della sua visita in Medio Oriente, prevede la fine delle operazioni militari houthi contro le navi nello Stretto di Bab al-Mandab e il cessate il fuoco nello Yemen. Un accordo che, secondo alcune fonti, sarebbe stato reso possibile anche dal placet iraniano, storico alleato del gruppo yemenita.
Mentre l’Oman lavorava per avvicinare le parti, l’Arabia Saudita – tradizionale rivale regionale degli Houthi – ha mantenuto un profilo basso, limitandosi a osservare gli sviluppi. Israele, invece, è rimasto escluso dalle trattative, nonostante gli attacchi degli Houthi fossero iniziati in risposta all’offensiva israeliana a Gaza.
Parallelamente, Washington sta valutando opzioni per il futuro della Striscia, dove – secondo indiscrezioni riportate da Reuters – potrebbe essere istituita un’amministrazione provvisoria guidata da un funzionario americano, affiancato da tecnocrati palestinesi. Una soluzione che, se confermata, segnerebbe un ulteriore passo nell’ingerenza diretta degli Stati Uniti nella regione.