La Consulta boccia le critiche della sinistra: l'abrogazione dell'abuso d'ufficio non è incostituzionale

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La Corte costituzionale ha archiviato ogni dubbio sulla legittimità della soppressione del reato di abuso d’ufficio, stabilendo che la legge 114 del 2024 – che lo ha cancellato dal codice penale – non viola i principi fondamentali della Carta. Le quattordici questioni di legittimità sollevate da altrettante autorità giurisdizionali, tra cui la Cassazione, sono state dichiarate inammissibili, fatta eccezione per quelle relative agli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu contro la corruzione, nota come Convenzione di Merida. Anche su questo punto, però, i giudici hanno chiarito che né il testo internazionale né i suoi protocolli impongono agli Stati di mantenere in vita il delitto di abuso d’ufficio, tantomeno ne vietano l’abrogazione.

La decisione, arrivata dopo un esame in camera di consiglio, rappresenta una netta chiusura rispetto alle polemiche sollevate in particolare dalle opposizioni di sinistra, che avevano accusato il governo di aver smantellato uno strumento cruciale per contrastare gli illeciti nella pubblica amministrazione. Le critiche, secondo la Consulta, non trovano alcun fondamento giuridico.

A esprimere soddisfazione è stato il guardasigilli Carlo Nordio, che ha definito la sentenza «una conferma delle tesi sostenute più volte» sulla compatibilità della riforma con gli impegni internazionali dell’Italia. «Ora basta strumentalizzazioni», ha aggiunto il ministro, alludendo alle accuse di aver favorito una presunta impunità per i pubblici ufficiali.

La vicenda giudiziaria, che aveva visto numerosi tribunali sollevare dubbi di costituzionalità, si chiude così con un verdetto che legittima la scelta del legislatore. Restano aperte, tuttavia, le discussioni sull’efficacia del sistema penale nel reprimere gli abusi dei funzionari, dato che altri reati – come quelli di corruzione o concussione – continuano a coprire parte delle condotte un tempo sanzionate attraverso il delitto di abuso.