L'Inps e il conto da 6,6 miliardi: il peso dei condoni contributivi

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ECONOMIA

ROMA. Sei miliardi e seicento milioni di euro: è la cifra che la fiscalità generale dovrà coprire per colmare il vuoto lasciato dai condoni contributivi approvati tra il 2018 e il 2022. A lanciare l’allarme è il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps, che nella sua ultima delibera ha calcolato l’impatto delle sanatorie sulle casse dell’istituto. Si tratta di operazioni – come il "saldo e stralcio" – che hanno cancellato debiti previdenziali accumulati da imprese e lavoratori autonomi tra il 2000 e il 2015, grazie a provvedimenti varati in diversi governi, da Conte I a Draghi fino all’attuale esecutivo Meloni.

Le misure, presentate come strumenti per agevolare la regolarizzazione dei contributi, hanno invece finito per scaricare sul bilancio pubblico un costo insostenibile. Secondo i dati del Civ, solo nel 2023 l’Inps ha rinunciato a 15,4 miliardi di crediti, cifra che sale a 18 miliardi se si considera l’intero triennio 2022-2024. Di questi, 6,6 miliardi rappresentano un buco immediato, che lo Stato dovrà colmare per garantire il pagamento delle pensioni.

Il meccanismo, che ha permesso di estinguere debiti fino a mille euro con sconti significativi, è stato criticato per la sua struttura, che favorisce chi ha evaso a scapito di chi ha versato regolarmente i contributi. Sebbene i governi abbiano giustificato i condoni come strumenti per recuperare risorse altrimenti irrecuperabili, l’effetto sul sistema previdenziale è stato quello di un vero e proprio salasso.

L’Inps, già sotto pressione per l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle pensioni, si trova ora a dover gestire un ulteriore squilibrio. Senza interventi correttivi, il rischio è che il peso ricada sui contribuenti, chiamati a finanziare un sistema sempre più fragile. Quello che emerge dai numeri è un circolo vizioso: più si condona, più si indeboliscono le basi della previdenza, costringendo lo Stato a ripianare i conti con risorse pubbliche.