Graziano Mesina, il bandito sardo che non fu solo un criminale

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Graziano Mesina, conosciuto da tutti come "Grazianeddu", è morto a 83 anni nell’ospedale San Paolo di Milano, poche ore dopo essere stato scarcerato. Liberato dal carcere di Opera per le sue condizioni disperate – un tumore che lo aveva consumato – non ha fatto in tempo a tornare in Sardegna, come avrebbe voluto. La sua storia, però, va oltre l’etichetta di "ultimo bandito sardo", perché Mesina, nato a Orgosolo e cresciuto con quel nomignolo affettuoso che lo ha accompagnato per tutta la vita, è stato un personaggio complesso, capace di sfuggire più volte alla giustizia e di intrecciare legami con la malavita non solo isolana.
Le sue gesta criminali iniziarono presto, a soli 14 anni, e lo resero un simbolo del banditismo sardo, temuto e rispettato. Rapimenti, evasioni spettacolari – come quella del 1985 – e contatti con figure di spicco della criminalità organizzata, tra cui Epaminonda e Turatello, ne hanno segnato la carriera. Nonostante ciò, la sua figura non si riduce a una semplice sequela di reati. Ci sono i misteri, come i suoi legami con Crescentino, e gli episodi che lo hanno reso quasi una leggenda, come quando l’"Ave Maria" di Schubert rivelò i nascondigli usati per i sequestri.