Meloni e Trump, il viaggio a Washington tra dazi e contraddizioni





Articolo Precedente
Articolo Successivo
Mentre Giorgia Meloni si prepara all’incontro con Donald Trump, previsto per il 17 aprile a Washington, la posizione dell’Italia sullo spinoso tema dei dazi commerciali appare tutt’altro che lineare. Sebbene Fratelli d’Italia e il governo avessero inizialmente mantenuto un approccio cauto, il voto italiano nel Consiglio dell’Ue ha sorpreso molti: Roma, infatti, ha appoggiato le contromisure europee contro i dazi statunitensi, smentendo così le dichiarazioni propagandate fino a pochi giorni prima. Una mossa che, è lecito supporre, non sarà passata inosservata all’amministrazione americana.
L’Ungheria, unico Paese a opporsi formalmente alle misure, ha invece confermato la sua linea critica verso Bruxelles. Ma è la contraddizione italiana a destare interrogativi, soprattutto alla vigilia di un vertice in cui Meloni cercherà di mediare una soluzione. La premier punta a proporre un patteggiamento: l’azzeramento dei dazi in cambio di scambi strutturali tra Europa e Stati Uniti, un tentativo di smussare le tensioni che rischiano di trasformarsi in una guerra commerciale.
Matteo Salvini, dal canto suo, ha ribadito la necessità di evitare escalation. «Mi auguro che nessuno a Bruxelles alimenti guerre commerciali», ha dichiarato il leader leghista durante la scuola di formazione del partito a Roma, sottolineando come il governo italiano debba farsi portavoce del dialogo. «Le guerre commerciali, così come quelle militari, nel 2025 rappresentano una sconfitta per l’uomo», ha aggiunto, in un apparente monito sia agli Usa che all’Ue. Salvini ha poi auspicato che l’Europa non ricorra a «bazooka economici», definizione con cui ha bollato le possibili ritorsioni, ritenendole dannose per imprese e lavoratori.