Gaza e il mondo: tra tregue fragili e piani di ricostruzione





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Nel caotico scenario mediorientale, la Striscia di Gaza continua a essere un nodo irrisolto, stretto tra tensioni politiche, promesse di ricostruzione e fragili tregue. Mentre il mondo sembra distogliere lo sguardo, i Paesi arabi hanno presentato un piano da 53 miliardi di dollari per la ricostruzione dell’enclave, un progetto ambizioso che però non può prescindere dalle dinamiche locali e internazionali. Tra i nomi che emergono, quello di Mohammed Dahlan, figura chiave per il futuro di Gaza, che potrebbe finalmente uscire dall’ombra per assumere un ruolo di primo piano.
La tregua, che resiste a fatica, è costantemente minacciata dalle parti in gioco. Da un lato, Israele, con il primo ministro Benjamin Netanyahu che, spinto dalle frange più radicali della destra, non esclude l’ipotesi di un conflitto su più fronti, mantenendo le forze armate in stato di massima allerta. Dall’altro, gli Stati Uniti, dove Donald Trump, dopo aver minacciato “l’inferno” per chiunque si opponga ai suoi piani, sembra aver ammorbidito la posizione, dichiarando che nessun palestinese verrà espulso da Gaza. Una retromarcia che arriva dopo mesi di tensioni e dichiarazioni incendiarie, e che lascia intravedere una possibile apertura, seppur timida, verso soluzioni diplomatiche.
Intanto, il vertice della Lega Araba ha delineato una road map per il futuro di Gaza, che prevede la formazione di un governo di transizione composto da 15 personalità di spicco. Tra questi, ex ministri, docenti universitari, uomini d’affari e membri di famiglie influenti, per lo più legati a Fatah ma rimasti neutrali nei confronti di Hamas. Un comitato che, secondo il piano egiziano, dovrebbe gestire la Striscia in attesa di consegnarla all’Autorità nazionale palestinese. Un passaggio delicato, che richiede non solo consenso interno ma anche il supporto della comunità internazionale.
La situazione resta però instabile, con il rischio di nuovi scontri sempre in agguato. Netanyahu, che non perde occasione per ribadire la sua linea dura, ha applaudito le mosse di Trump, vedendo in esse un possibile rafforzamento della posizione israeliana. Tuttavia, il piano arabo, che punta a una ricostruzione massiccia e a una stabilizzazione politica, potrebbe rappresentare un’opportunità per ridare speranza a una popolazione stremata da anni di conflitti e privazioni.