Perché il nuovo papa doveva essere Pietro Parolin, e invece non lo è stato

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Redazione Interno Redazione Interno   -   Fino all’ultimo, il nome che circolava con più insistenza tra i corridoi vaticani era quello di Pietro Parolin. Settant’anni compiuti a gennaio, il cardinale vicentino, segretario di Stato di papa Francesco, era considerato il naturale successore di Bergoglio, colui che avrebbe potuto garantire continuità alla linea riformatrice del pontificato attuale. Eppure, quando dalla Loggia delle Benedizioni è apparso il volto di Robert Francis Prevost, pochi hanno potuto nascondere una certa sorpresa.

Quello che molti osservatori si chiedono ora è cosa sia accaduto davvero in Conclave, e perché Parolin – indicato come favorito non solo dai bookmaker ma anche da esperti e vaticanisti – abbia scelto di fare un passo indietro. Un gesto che, stando alle ricostruzioni, avrebbe spianato la strada all’elezione del primo pontefice statunitense. C’è chi parla di calcoli politici, chi di un’astuzia diplomatica, e chi invece sospetta che dietro quella rinuncia si nasconda una partita più complessa, giocata tra le mura della Sistina.

"Don Piero", come lo chiamano nel suo paese natale, Schiavon, è uscito dal Conclave con un ruolo diverso da quello che molti gli avevano pronosticato. E mentre si moltiplicano le ipotesi su presunti scontri tra fazioni, c’è chi, come Luca Sandonà, ex docente alla Pontificia Università Lateranense, suggerisce che la mossa di Parolin sia stata tutt’altro che una sconfitta. "Ha capito che i numeri non erano dalla sua parte – spiega Sandonà – e ha preferito evitare una lunga contrapposizione".