Gaza, il piano di Israele tra esodo forzato e l’incognita dei Paesi arabi

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Redazione Esteri Redazione Esteri   -   «Vi schiacceremo, vi faremo a pezzi. Liberate i nostri rapiti!». Le parole di Benjamin Netanyahu, pronunciate ieri sera, non lasciano dubbi sulla linea scelta dal governo israeliano, che procede con un’offensiva sempre più massiccia nella Striscia di Gaza. Il premier ha ribadito che l’obiettivo è la resa di Hamas e la liberazione degli ostaggi, ma ha escluso trattative se non precedute da un gesto unilaterale dei miliziani. Intanto, l’esercito israeliano sembra orientato a un’occupazione permanente del territorio, non limitata ai corridoi finora controllati.

La strategia, tuttavia, non convince tutti. A Tel Aviv, la protesta dei riservisti – molti dei quali veterani con esperienza in operazioni antiterrorismo – guadagna consensi. «Einstein diceva che ripetere la stessa azione aspettandosi conseguenze diverse è stupidità», ha osservato il colonnello Eran Duvdevani, ex paracadutista e voce critica verso lo Stato maggiore. La sua posizione, seppur minoritaria, riflette un malcontento crescente: l’idea di un’occupazione estesa è considerata da molti una follia logistica e politica.

Lo storico Benny Morris, noto per le sue analisi spesso controcorrente, definisce la situazione uno «stallo». Secondo lui, Israele non è riuscito a sconfiggere Hamas, ma neppure il gruppo islamico ha ottenuto risultati significativi, a parte la resistenza armata. Tsahal controlla ampie porzioni di Gaza, ma la prospettiva di un’annessione totale appare irrealistica, mentre l’eliminazione della leadership nemica resta una priorità.

Intanto, il bilancio civile continua a salire. Martedì 6 maggio, un doppio bombardamento israeliano ha colpito una scuola-rifugio nel campo profughi di al-Bureij, uccidendo 31 persone, tra cui numerosi bambini. Le immagini dei soccorritori che cercano di estrarre i feriti tra le macerie, mentre divampano incendi, hanno riacceso le polemiche sull’uso della forza. Israele sostiene che l’edificio fosse utilizzato come base militare, ma fonti locali parlano di famiglie in fuga dai combattimenti.