L’AfD classificato come estremista dai servizi tedeschi, mentre cresce la tensione politica

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ESTERI

L’Alternative für Deutschland (AfD), partito euroscettico e anti-immigrazione irregolare, è stato ufficialmente definito un’organizzazione di "estrema destra" dall’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione, i servizi segreti interni tedeschi. La decisione, che arriva mentre il partito di Alice Weidel consolida il suo consenso nei sondaggi, lo identifica come una minaccia per l’ordine democratico, aprendo la strada a possibili misure restrittive.

Secondo il rapporto dei servizi, lungo oltre mille pagine e parzialmente pubblicato da Spiegel, l’AfD promuoverebbe una visione divisiva della società, distinguendo tra "tedeschi di serie A e di serie B", e avrebbe espresso toni aggressivi verso il governo, definendolo un bersaglio di una "guerra" da combattere. Non solo: tra i punti più controversi emerge la teoria della "remigrazione", che prevede l’allontanamento forzato di milioni di persone, considerate estranee alla cultura nazionale.

La mossa dell’intelligence tedesca riaccende un dibattito già vivo in Europa e oltreoceano, dove figure come Donald Trump – spesso accostato all’AfD per retorica e base elettorale – sollevano interrogativi sui limiti della tolleranza democratica verso movimenti che ne contestano i principi. Se in Germania il caso ha portato a ipotizzare un bando, negli Stati Uniti la questione si declina in termini di libertà di espressione, pur con analoghe preoccupazioni per derive autoritarie.

La situazione ricorda, per certi versi, storiche contrapposizioni politiche italiane, come quella tra Vittorio Foa, senatore indipendente di sinistra, e Giorgio Pisanò, esponente del Movimento Sociale, in un’epoca in cui lo scontro ideologico era altrettanto acceso. Oggi, però, il contesto è diverso: l’AfD, pur criticando il sistema, ne sfrutta le garanzie per diffondere il suo messaggio, alimentando un paradosso che mette alla prova le democrazie occidentali.