Arresto e rilascio del generale libico Almasri, un caso che scuote la politica italiana

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INTERNO

Il 19 gennaio scorso, il generale Osama Njeem Almasri, comandante della prigione di Mittiga e delle forze speciali libiche, è stato arrestato in Italia. Su di lui pende un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale dell'Aja per crimini di guerra, tra cui uccisioni, stupri e torture, commessi ai danni di persone vittime di trafficanti di esseri umani. Almasri, a capo di due milizie libiche affiliate, ma non emanate direttamente dalle autorità centrali - la Polizia giudiziaria libica e la Rada, la forza di reazione rapida - è accusato di gravi crimini contro l'umanità, anche a seguito dei rilievi dello stesso tribunale nei confronti del nostro Paese.

L'arresto e la successiva scarcerazione del generale hanno causato forti fibrillazioni politiche in Italia. Il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che qualcuno del governo riferirà sul caso Almasri in Parlamento, sottolineando che il ministro Piantedosi ha già parlato una volta e che verrà nuovamente a riferire. La vicenda, che coinvolge anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la magistratura, rischia di trasformarsi in una sceneggiata politica.

Il generale Almasri è ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra compiuti durante uno dei tanti momenti della guerra civile scoppiata nel 2011, ma che vede il generale sotto inchiesta per fatti successivi al 2015. L'arresto del comandante libico ha confermato i dubbi sull'efficacia di un sistema penale internazionale che possa perseguire efficacemente reati così gravi e fortemente lesivi della dignità umana.

La conferenza dei capigruppo deciderà tempi e modi per riferire sul caso Almasri in Parlamento.