A Schiavon le campane suonano per il nuovo papa, ma il cuore è ancora per don Pietro





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Redazione Interno
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Le campane della chiesa di Santa Margherita, a Schiavon, hanno risuonato festose all’annuncio dell’elezione del nuovo pontefice, Leone XIV. Eppure, tra i 2500 abitanti di questo paese arroccato ai piedi del Monte Grappa, c’era chi sperava in un nome diverso: quello di Pietro Parolin, il cardinale originario di queste strade, cresciuto tra le case di via Roma e la piazza centrale dove ancora oggi si riconoscono i suoi passi d’infanzia.
Quello che molti, qui, chiamano ancora “don Piero” – come quando lo vedevano servire messa da chierichetto – era considerato uno dei papabili, se non il favorito, fino all’ultimo. Tanto che, quando la fumata bianca si è alzata alle 18.08, il bar del paese si è riempito in un silenzio carico di aspettativa. Poi, il nome: non Parolin, ma l’americano Leone XIV. «Aveva le carte in regola per fare il papa», ha commentato qualcuno, mentre altri, come Matteo Sambo, hanno preferito vedere il bicchiere mezzo pieno: «Meglio così, per noi rimarrà sempre don Pietro».
Non è chiaro se a prevalere sia stata la delusione o la rassegnazione. Di certo, il cardinale – che da anni ricopre il ruolo di segretario di Stato sotto papa Bergoglio – ha mantenuto una presenza discreta ma centrale durante il conclave. È stato lui, in virtù del suo rango, a porre la domanda rituale a Robert Francis Prevost: «Acceptasne electionem?». E proprio accanto al nuovo pontefice, durante la benedizione urbi et orbi, Parolin è apparso in primo piano, quasi a simboleggiare un ponte tra il passato e il futuro della Chiesa.