Sánchez all'Onu chiede "misure urgenti" per Gaza, mentre sei paesi condannano l’espansione militare israeliana





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Redazione Esteri
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Pedro Sánchez, intervenendo alle Nazioni Unite, ha sollecitato un’azione immediata per fermare quella che ha definito una «catastrofe umanitaria» nella Striscia di Gaza, dove la popolazione, stremata da mesi di assedio, affronta livelli senza precedenti di insicurezza alimentare e carenza di beni essenziali. «Non possiamo restare a guardare», ha dichiarato il presidente spagnolo, sottolineando la necessità di un intervento coordinato per evitare ulteriori vittime civili.
Nello stesso giorno, i governi di Spagna, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia e Slovenia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui esprimono «grave preoccupazione» per i piani israeliani di estendere le operazioni militari a Gaza, definendoli una «pericolosa escalation» che minaccia ogni prospettiva di soluzione basata sulla coesistenza di due Stati. Il testo, che respinge esplicitamente «qualsiasi modifica demografica o territoriale» nella Striscia, mette in guardia contro il rischio di un ulteriore deterioramento della situazione, già al limite del collasso.
Intanto, il primo ministro palestinese Mohammad Mustafa, durante una conferenza stampa a Ramallah, ha accusato Israele di aver orchestrato una «carestia deliberata», definendola un «crimine contro l’umanità». «Il silenzio della comunità internazionale rende complici», ha affermato, chiedendo all’Onu di riconoscere ufficialmente Gaza come zona di carestia e di attivare tutti i protocolli umanitari previsti in tali circostanze. Mustafa ha inoltre ricordato che l’uso della fame come arma di guerra è espressamente vietato dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, sollecitandone l’applicazione immediata.
A complicare ulteriormente gli aiuti, le nuove restrizioni imposte da Israele alle organizzazioni non governative operanti a Gaza, entrate in vigore a marzo. Secondo un gruppo di 55 Ong, le norme consentirebbero alle autorità israeliane di negare l’accesso o revocare i permessi sulla base di criteri arbitrari, incluso il semplice fatto di aver criticato le condizioni di vita nei campi profughi. Si tratta di una misura che, secondo gli operatori umanitari, rischia di paralizzare gli interventi già difficili in un contesto dove medicine, cibo e acqua scarseggiano.