Bitcoin, così i «minatori» cinesi aggirano i divieti: Pechino seconda al mondo dopo gli Usa

Il Sole 24 ORE ECONOMIA

Del resto la Cina rappresentava, all’epoca, tra il 65% e il 75% dell'hash rate mondiale.

E già a settembre 2021 - cioè due mesi dopo il divieto imposto dal governo centrale - la Cina rappresentava poco più del 22% del mercato totale del mining di bitcoin, secondo i dati dei ricercatori di Cambridge

In Cina, i minatori di criptovalute, hanno trovato il modo per aggirare le restrizioni imposte dal governo centrale. (Il Sole 24 ORE)

La notizia riportata su altre testate

Secondo il report la ripresa sarebbe dovuta a una “improvvisa impennata delle operazioni svolte in segreto”. Oggi vediamo che anche la Cina è tornata in carreggiata, con oltre il venti per cento di potenza di calcolo, seconda solo al trentasette per cento degli Stati Uniti (Wired Italia)

La scomparsa della Cina dalla scena era comunque stato accolto in maniera molto positiva dalla comunità, in quanto era venuto a mancare uno dei principali motivi di accentramento della capacità produttiva della rete Bitcoin, anche considerando che la potenza perduta era stata largamente recuperata già a dicembre dello scorso anno, quindi l'assenza dell'apporto cinese è stato completamente assorbito in pochi mesi. (HDblog)

Le motivazioni dello stop erano per lo più di carattere energetico: la vasta presenza di minatori di cripto nel territorio cinese significava un enorme utilizzo di energia Il governo cinese aveva imposto dei limiti molto rigidi a tutti coloro intenti a trovare nuove criptovalute in territorio cinese appunto. (I-Dome.com)

L'Italia resta ai margini del mondo del mining. La Germania ha invece il 3% del mercato, un dato che potrebbe essere influenzato però dall'utilizzo di Vpn da parte di minatori in altri paesi (idealista.it/news)

Secondo il CCAF, i minatori sono diventati più fiduciosi e "sembrano soddisfatti della protezione offerta dai servizi di proxy locali", che aiutano a celare la posizione dell'attività di mining Gli Stati Uniti, infatti, restano il primo Paese con una quota del 37,84% della capacità di calcolo (che viene espressa in Exahash) che serve a minare bitcoin (DDay.it)