Lo speciale di Charlie Hebdo dieci anni dopo la tragedia

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Dostoevskij scrutava l’ironia con una lente d’ingrandimento. Per lui, “la tragedia e la satira sono sorelle e vanno di pari passo; tutte e due prese insieme si chiamano verità”. Riflettevo su queste parole a dieci anni dalla tragedia di Charlie Hebdo, 7 gennaio 2015, quando un commando di terroristi armati irruppe nella sede del settimanale satirico parigino, uccidendo dodici persone e ferendone altre quattro. (ROMA on line)

Su altre fonti

Parigi ricorda l'attentato al giornale satirico Charlie Hebdo, che 10 anni fa sconvolse la Francia e l'Europa. Il giornale anarchico e anticlericale, nato nel 1970 dalle ceneri della rivista Hara-Kiri, era stato bersaglio di minacce jihadiste dopo la pubblicazione delle caricature del profeta Maometto nel 2006. (La Stampa)

Con un numero speciale il settimanale satirico ricorda la strage qaidista del 7 gennaio 2015 (Primaonline)

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha scritto sui social network che: “Gli uomini e le donne di Charlie Hebdo sono stati uccisi per ciò che rappresentavano. (RSI)

In un vecchio saggio (ma poi mica tanto: è del 2018) di Luciano Canfora, La scopa di don Abbondio (Editori Laterza), il sottotitolo “il moto violento della storia” si adatta perfettamente alla data del 7 gennaio, ricorrenza di uno degli eventi più drammatici delle nostre cronache, quella del massacro di Charlie Hebdo, giusto dieci anni fa, il fatidico 2015, il momento in cui noi tutti percepimmo come certe forze politiche oscurantiste presero il sopravvento in Francia, ma anche in larga parte d’Europa e del mondo, gettandoci in un cupo fatalismo (che in certi Paesi, come l’Italia, si è tradotto nell’assenteismo elettorale). (Il Fatto Quotidiano)

Quel giorno, esattamente 10 anni fa, la disegnatrice Corinne Rey viene costretta ad aprire le porte della redazione da alcuni membri della branca yemenita di Al-Qaeda che causeranno decine di vittime dentro e fuori quelle mura. (RSI)

Eppure oggi, a dieci anni di distanza, non si ode neppure più l'eco di quell'affermazione (il Giornale)