Nuove schermaglie nel Kashmir, l’India sospende il trattato sulle acque dell’Indo

Articolo Precedente

precedente
Articolo Successivo

successivo
ESTERI

Redazione Esteri Redazione Esteri   -   Nella notte tra martedì e mercoledì, i colpi di artiglieria si sono rincorsi lungo la linea di controllo che divide il Kashmir tra India e Pakistan, lasciando sul terreno almeno trentaquattro vittime, tra cui tredici civili uccisi nel villaggio di Poonch. Fonti indiane accusano Islamabad di aver preso di mira abitazioni e infrastrutture, mentre il governo pakistano, senza confermare i numeri, ha denunciato "un atto di guerra" dopo che alcune centrali e dighe sarebbero state colpite. Le tensioni, mai sopite dopo l’attentato del 22 aprile scorso nella regione contesa, hanno raggiunto un nuovo picco, con entrambi i Paesi che hanno mobilitato reparti militari lungo il confine.

Ma non sono solo le armi convenzionali a riaccendere lo scontro. Per la prima volta dalla firma del trattato sulle acque dell’Indo nel 1960, l’India ha annunciato la sospensione dell’accordo, giustificando la decisione con la necessità di "risposte credibili" al presunto sostegno pakistano al terrorismo transfrontaliero. Sebbene Nuova Delhi non disponga ancora delle infrastrutture per interrompere completamente il flusso dei fiumi verso il vicino, la mossa – che include il blocco della condivisione dei dati idrologici – rischia di inasprire ulteriormente una crisi già fuori controllo.

Il Kashmir, da decenni al centro di rivendicazioni territoriali, è oggi uno dei teatri più instabili dell’Asia meridionale, dove due potenze nucleari – seppur con forze armate numericamente sbilanciate a favore dell’India – si fronteggiano in una spirale di provocazioni. Quello idrico, in particolare, è un dossier sensibile: il Pakistan dipende per oltre il 60% dalle risorse idriche provenienti dai fiumi controllati dall’India, e qualsiasi modifica unilaterale degli accordi potrebbe avere conseguenze devastanti per l’agricoltura e l’approvvigionamento energetico.