Bitcoin: il futuro è cinese?

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Le motivazioni dello stop erano per lo più di carattere energetico: la vasta presenza di minatori di cripto nel territorio cinese significava un enorme utilizzo di energia

Il governo cinese aveva imposto dei limiti molto rigidi a tutti coloro intenti a trovare nuove criptovalute in territorio cinese appunto.

Dopo il duro e secco stop del governo però, tale valore crollò.

Il mining esplose in territorio cinese al punto che il 65% circa del potenziale di mining globale era proprio in Cina. (I-Dome.com)

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La scomparsa della Cina dalla scena era comunque stato accolto in maniera molto positiva dalla comunità, in quanto era venuto a mancare uno dei principali motivi di accentramento della capacità produttiva della rete Bitcoin, anche considerando che la potenza perduta era stata largamente recuperata già a dicembre dello scorso anno, quindi l'assenza dell'apporto cinese è stato completamente assorbito in pochi mesi. (HDblog)

Secondo il report la ripresa sarebbe dovuta a una “improvvisa impennata delle operazioni svolte in segreto”. Oggi vediamo che anche la Cina è tornata in carreggiata, con oltre il venti per cento di potenza di calcolo, seconda solo al trentasette per cento degli Stati Uniti (Wired Italia)

La Cina viene preferita dai minatori in quanto l'energia elettrica consumata nel Paese è più economica perché deriva ancora in gran parte dal carbone. Secondo il CCAF, i minatori sono diventati più fiduciosi e "sembrano soddisfatti della protezione offerta dai servizi di proxy locali", che aiutano a celare la posizione dell'attività di mining (DDay.it)

In Cina, i minatori di criptovalute, hanno trovato il modo per aggirare le restrizioni imposte dal governo centrale. Del resto la Cina rappresentava, all’epoca, tra il 65% e il 75% dell'hash rate mondiale. (Il Sole 24 ORE)

La Germania ha invece il 3% del mercato, un dato che potrebbe essere influenzato però dall'utilizzo di Vpn da parte di minatori in altri paesi L'Italia resta ai margini del mondo del mining. (idealista.it/news)