Perché San Francisco non vuole che Trump riapra Alcatraz come prigione





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Redazione Esteri
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A San Francisco, l’idea di Donald Trump di riportare Alcatraz alla sua funzione originaria di carcere è stata accolta con un netto rifiuto. «The Rock», chiusa ormai da 62 anni, è diventata una delle attrazioni turistiche più visitate della città, capace di trasformare il suo passato tetro in un’esperienza che attrae milioni di persone. Chi la visita oggi può esplorare i giardini, immergersi nella «Big Lockup Exhibit» o partecipare a tour notturni che, tra l’altro, offrono la possibilità di ammirare il tramonto sul Golden Gate Bridge.
La proposta di Trump, che punta a ripristinare il penitenziario, si scontra con una realtà ben diversa. L’isola, che per quasi trent’anni – dal 1934 al 1963 – ha ospitato alcuni dei detenuti più pericolosi degli Stati Uniti, è oggi un simbolo culturale, immortalato in numerosi film che ne hanno sfruttato l’aura di mistero e isolamento. Pellicole come Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood o The Rock con Sean Connery hanno contribuito a cementarne l’immagine, facendone non solo una location, ma un vero e proprio personaggio.
Oltre all’aspetto simbolico, ci sono ragioni pratiche che rendono l’ipotesi poco realistica. Già negli anni Cinquema, mantenere attiva la prigione era estremamente costoso: nel 1959, ogni detenuto costava oltre 10 dollari al giorno, contro i 3 di un carcere come quello di Atlanta. La posizione isolata, accessibile solo via mare, rendeva ogni approvvigionamento – dal cibo al carburante – un’operazione complessa. Oggi, quei costi sarebbero ancor più proibitivi, senza contare l’impatto sul turismo, che rappresenta una voce economica cruciale per la città.