L’80% di Rafah distrutto, mentre l’Ue condanna i piani israeliani e Conte attacca Meloni





Articolo Precedente
Articolo Successivo
Redazione Esteri
-
L’esercito israeliano, che a metà aprile aveva annunciato l’accerchiamento completo di Rafah – città strategicamente cruciale all’estremo sud della Striscia di Gaza – ha ormai ridotto in macerie circa l’80% degli edifici, trasformando quella che era la seconda area più popolosa del territorio in un cumulo di rovine. L’isolamento dalla vicina Khan Younis, ottenuto attraverso il corridoio Morag scavato dopo la fine della tregua di marzo, ha reso inevitabile un’offensiva che, nonostante le pressioni internazionali, prosegue senza sosta.
A Bruxelles, intanto, la nuova alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, ha preso una posizione netta, seppur tardiva, rispondendo alle sollecitazioni della “maggioranza dei Paesi membri” durante l’incontro informale a Varsavia. “Respingiamo qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale a Gaza”, ha dichiarato, riferendosi implicitamente ai timori di una riconfigurazione forzata della Striscia. Le sue parole, però, suonano come un monito più che come una svolta concreta, mentre gli Stati Uniti, attraverso influenti lobby, continuano a sostenere il piano israeliano.
D’altronde, le divisioni interne allo stesso governo di Tel Aviv emergono con chiarezza dalle parole del generale Amos Yadlin, secondo cui lo Stato Maggiore vorrebbe concentrarsi sul salvataggio degli ostaggi, mentre il premier Benjamin Netanyahu agirebbe per “salvare se stesso e la sua coalizione”. Una strategia che sembra legarsi alla visita lampo di Donald Trump in Medio Oriente, prevista tra il 10 e il 13 maggio, e alla presentazione da parte del nuovo capo di Stato Maggiore, Eyal Zamir, di un piano operativo ancora più aggressivo.