Ilaria Salis contro i centri migranti in Albania: "prigioni coloniali", ma il governo difende le procedure

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INTERNO

L’eurodeputata di Avs Ilaria Salis ha scatenato una bufera politica definendo i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in Albania, in particolare quello di Gjader, come "campi di concentramento" e "prigioni coloniali". Le sue dichiarazioni, diffuse attraverso i social, hanno riacceso il dibattito sull’accordo tra Italia e Albania per il trasferimento dei migranti irregolari, un tema già divisivo che ora si carica di ulteriori tensioni.

Dal canto suo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha respinto le critiche, sottolineando come la maggior parte dei quaranta migranti trasferiti abbia precedenti penali per reati gravi. «Si tratta di individui segnalati per tentato omicidio, violenza sessuale, rapina e spaccio», ha precisato, difendendo l’uso delle fascette ai polsi durante il trasporto come una «prassi operativa standard». Quella che Salis descrive come una misura disumana, per il governo rientra invece in protocolli di sicurezza necessari, considerato il profilo dei trasferiti.

Le immagini dei migranti ammanettati, circolate nei giorni scorsi, hanno alimentato le proteste delle organizzazioni per i diritti umani e della sinistra, ma i dati forniti dalle autorità dipingono un quadro diverso. Su quaranta persone, dieci sono accusate di crimini violenti, sedici sono coinvolte in reati contro il patrimonio e sette legate al traffico di droga. Numeri che, secondo l’esecutivo, giustificherebbero un approccio rigoroso.

Intanto, a Gjader, le prime notti nel centro sono state segnate da episodi di tensione. Fonti locali parlano di proteste e almeno tre casi di autolesionismo tra i detenuti, alcuni dei quali si sarebbero feriti con vetri in segno di protesta. Un contesto già difficile, reso più complesso dalle polemiche sollevate dall’intervento di Salis, che ha trasformato la questione in uno scontro ideologico.