Filippine, arrestato l'ex presidente Duterte: piazza contro i crimini di guerra

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ESTERI

L’arresto dell’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, avvenuto martedì 11 marzo 2025 all’aeroporto internazionale di Manila su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI), ha scatenato un’ondata di reazioni nel Paese. Duterte, 16º presidente delle Filippine dal 2016 al 2022, è accusato di crimini contro l’umanità per il ruolo avuto nella sanguinosa campagna antidroga che, durante il suo mandato, ha causato migliaia di morti, molte delle quali uccisioni extragiudiziali. La notizia del fermo, che ha riacceso il dibattito sulla giustizia globale e sulle responsabilità dei leader politici, ha portato in piazza a Quezon City i manifestanti anti-Duterte, che hanno organizzato una cerimonia commemorativa per le vittime della repressione.

La “guerra alla droga”, lanciata da Duterte sin dai primi giorni del suo governo, è stata caratterizzata da un approccio brutale, che ha trasformato le strade delle Filippine in un teatro di violenza. Secondo i dati raccolti da organizzazioni per i diritti umani, oltre 12.000 persone sono state uccise, molte delle quali senza processo o garanzie legali. La CPI, che ha aperto un’inchiesta già nel 2018, ha deciso di procedere con l’arresto dopo aver raccolto prove sufficienti per sostenere l’accusa di crimini contro l’umanità. L’ex presidente, noto per il suo stile populista e autoritario, ha sempre respinto le critiche, definendo le uccisioni necessarie per combattere il narcotraffico e garantire la sicurezza nazionale.

L’arresto di Duterte non rappresenta solo un momento cruciale per le Filippine, ma solleva anche questioni più ampie sul ruolo della giustizia internazionale. La CPI, spesso criticata per la sua presunta inefficienza e per i sospetti di parzialità, si trova ora al centro di un caso delicato, che potrebbe avere ripercussioni politiche e diplomatiche. La Cina, ad esempio, ha espresso preoccupazione per quello che definisce un uso “politicizzato” della giustizia internazionale, sottolineando la necessità di evitare “doppi standard”. La portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha dichiarato che Pechino sta monitorando attentamente la situazione, senza però prendere una posizione esplicita.