Proteste pro-Gaza, sì di un giudice Usa a deportazione di Khalil

Articolo Precedente
Articolo Successivo
Un giudice della Louisiana ha dato luce verde alla deportazione di Mahmoud Khalil, l'ex studente arrestato in marzo per aver partecipato all'organizzazione delle manifestazioni pro-Gaza nel campus di Columbia. Khalil aveva la carta verde all'atto dell'arresto ma il documento che garantisce la residenza permanente negli Usa gli era stato revocato dal dipartimento di Stato. La giudice Jamee Comans ha detto di non avere autorità per contestare la decisione del Segretario di Stato Marco Rubio che aveva definito la presenza degli giovane negli Usa "una minaccia per la politica estera degli Stati Uniti contro l'antisemitismo" in America e nel mondo. (La Gazzetta del Mezzogiorno)
La notizia riportata su altri giornali
Una pratica normale per chi, come lui, ha vissuto negli Stati Uniti per dieci anni con la “green card”, la “carta verde” che garantisce la residen… (la Repubblica)
Dal sogno americano alle manette: Mohsen Mahdawi, studente palestinese della Columbia University e residente legale negli Stati Uniti, è stato arrestato da agenti dell’immigrazione durante il suo colloquio per la cittadinanza a Colchester, Vermont. (La Stampa)
MAHDAWI è nato e cresciuto in un campo profughi in Cisgiordania dove ha vissuto fino al suo trasferimento negli Stati uniti nel 2014, ha un permesso di residenza permanente – la green card – sta terminando gli studi universitari in filosofia e aveva in programma di iscriversi a un master in affari internazionali in autunno. (Il Manifesto)

Dal sogno americano alle manette: Mohsen Mahdawi, studente palestinese della Columbia University e residente legale negli Stati Uniti, è stato arrestato da agenti dell’immigrazione durante il suo colloquio per la cittadinanza a Colchester, Vermont. (la Repubblica)
E a subirla più di tutti sono, di nuovo, gli studenti universitari. La repressione contro le proteste pro-Gaza negli Stati Uniti va avanti. (Il Fatto Quotidiano)
“La decisione della corte trasmette un messaggio profondamente inquietante a tutte le persone che vivono negli Stati Uniti: sotto l’amministrazione Trump, la libertà di espressione è un privilegio riservato a pochi, non un diritto garantito a tutte e tutti”. (Amnesty International Italia)