L'infanzia di Gaza muore di fame mentre gli Usa annunciano un piano di aiuti contestato




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Redazione Esteri
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Rahaf Ayad, dodicenne di Al-Shuja’iya, nella parte orientale di Gaza, è ridotta a un fantasma. I suoi capelli cadono a ciocche, le costole segnano la pelle, e persino parlare le costa una fatica immane. Le palpebre, pesanti, si aprono e chiudono con lentezza, mentre i suoi arti, ormai privi di forza, rispondono a stento ai comandi. La sua famiglia, sfollata in una stanza di Al-Rimal, condivide con altri sette parenti lo stesso spazio angusto, in un contesto dove il cibo è merce rara e la malnutrizione divora i più vulnerabili.
La situazione, già drammatica, rischia di peggiorare a causa delle tensioni politiche che circondano gli aiuti umanitari. Gli Stati Uniti hanno annunciato un nuovo piano di distribuzione, la Gaza Humanitarian Foundation, presentata come soluzione alla crisi alimentare che da oltre due mesi – precisamente dal 2 marzo – affama la popolazione. Ma l’iniziativa, invece di placare le preoccupazioni, ha sollevato polemiche. Le Nazioni Unite e diverse organizzazioni umanitarie temono che il progetto possa marginalizzare le agenzie già operative sul territorio, aggravando ulteriormente l’isolamento della Striscia.
Donald Trump, nel giorno in cui Benjamin Netanyahu preannunciava una "massiccia invasione" di Gaza, aveva garantito che il cibo sarebbe arrivato. Ora, con l’operatività del piano confermata il 9 maggio, Washington assicura che Israele non avrà alcun ruolo nella distribuzione. Una precisazione che non basta a dissipare i sospetti: secondo alcuni osservatori, l’intervento americano potrebbe essere strumentale a una segregazione geografica, spingendo i palestinesi verso il sud dell’enclave.