Leone XIV, il nome che segna la sfida tra lavoro e digitalizzazione

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Redazione Interno Redazione Interno   -   La scelta di Robert Francis Prevost di chiamarsi Leone XIV non è casuale, ma riflette le priorità del suo pontificato, legate in particolare alle trasformazioni del mondo del lavoro nell’era digitale. A sottolinearlo è stato il cardinale Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado, in un’intervista alla tv pubblica croata Hrt. «Il suo nome è il suo programma», ha dichiarato Nemet, aggiungendo che, «se Francesco parlava con i lupi, lui li caccerà». Un’allusione netta alla necessità di affrontare con decisione le nuove sfide globali, tra cui quelle occupazionali, senza indulgenza verso chi ostacola il cambiamento.

Le critiche non si sono fatte attendere, soprattutto oltreoceano. Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump, ha attaccato senza mezzi termini l’elezione di Prevost, definendola un «voto anti-Trump» e la «peggior scelta per il movimento MAGA». Già nei giorni precedenti, Bannon aveva bollato il nuovo pontefice come un «outsider» manovrato dai cosiddetti poteri forti, quelli che i sostenitori di Trump identificano con il «Deep State» e la «Deep Church». Un attacco che conferma come la figura di Leone XIV sia destinata a polarizzare non solo il dibattito religioso, ma anche quello politico.

Sul fronte logistico, resta ancora incerto dove il Papa risiederà stabilmente. Dopo l’elezione, ha fatto una breve visita al Palazzo del Sant’Uffizio, dove ha vissuto come prefetto del Dicastero per i Vescovi, salutando il personale. Questo gesto ha alimentato speculazioni su un possibile ritorno all’appartamento papale, composto da dieci stanze nel Palazzo Apostolico. Per ora, tuttavia, Leone XIV continua a soggiornare nella residenza di Santa Marta, dove ha lasciato i suoi effetti personali.