Il bavaglio Cartabia colpisce ancora: resta segreto il nome del medico di Piacenza accusato di 32 abusi sessuali





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Redazione Interno
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Un primario dell’ospedale Civile di Piacenza è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale aggravata e atti persecutori nei confronti di dottoresse e infermiere del suo reparto. La misura cautelare, emessa dal gip su richiesta della procura, arriva al termine di un’indagine durata 45 giorni, durante i quali la polizia ha raccolto prove schiaccianti: 32 episodi documentati da registrazioni video, che ritraggono un uomo descritto come «potente» e con «connessioni di alto livello».
Gli inquirenti, che hanno perquisito sia l’abitazione che lo studio del medico, hanno ricostruito una condotta sistematica: «Atti sessuali con quasi tutte le donne che entravano sole nel suo ufficio», si legge nel comunicato. Il quadro che emerge è quello di un ambiente lavorativo segnato dall’omertà e dalla prevaricazione, in cui le vittime – infermiere e colleghe – avrebbero subito pressioni e abusi senza trovare vie di fuga immediate.
Eppure, nonostante la gravità delle accuse e la mole di prove, il nome dell’indagato resta avvolto nel segreto. Un silenzio imposto dalla legge Cartabia, che limita la diffusione di notizie durante le indagini preliminari, anche quando si tratta di reati gravi e di interesse pubblico. Una scelta che, se da un lato tutela la presunzione d’innocenza, dall’altro rischia di lasciare nell’ombra dinamiche di potere che, come in questo caso, sembrano essersi protratte a lungo senza alcun ostacolo.