A Schiavon le campane suonano per il nuovo papa, ma il cuore è ancora per don Piero

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Redazione Interno Redazione Interno   -   Le campane della chiesa di Santa Margherita, a Schiavon, hanno risuonato festose all’annuncio dell’elezione del nuovo pontefice, Leone XIV. Eppure, tra i rintocchi, si avvertiva un’assenza: quella di Pietro Parolin, il cardinale nato in quel piccolo paese vicentino che, per qualche ora, aveva creduto di poterlo vedere salire al soglio pontificio. La fumata bianca, arrivata alle 18.08, aveva acceso le speranze di chi, nel bar centrale, aspettava con il fiato sospeso. Poi, la realtà: il conclave aveva scelto un altro nome, quello di Robert Francis Prevost, e il sogno si era dissolto.

«Aveva le carte in regola per fare il papa», commenta qualcuno, mentre gli sguardi si abbassano e i sorrisi si fanno più stanchi. Matteo Sambo, pronto a brindare con uno spritz, ammette senza rancore: «Meglio così, per noi rimarrà sempre don Pietro». Quella del paese è una delusione che sa di affetto, quasi di protezione verso chi, da bambino, frequentava la messa in quella stessa chiesa dove oggi si prega per il nuovo successore di Pietro.

La storia di Parolin, cresciuto in una casa di via Roma a pochi passi dalla piazza, è diventata simbolo di un legame che va oltre i titoli. Anche se il cugino confessa: «Ci credevo, sono deluso», è difficile distinguere, tra le parole della gente, il rammarico dalla rassegnazione. Quello che è certo è che Schiavon, per qualche giorno, si è sentito al centro del mondo, invaso da telecamere e giornalisti attratti dalla possibilità, remota ma affascinante, di un papa veneto. Poi, tutto è svanito in un istante, lasciando spazio solo al rumore delle valigie che si richiudono e dei microfoni spenti.