Per competere bisogna puntare sulla qualita’, di Clerici (Assoedilizia).

Fonte: Giornale Informazione Quotidiana. Che senso possiamo attribuire all’appello del futurologo Gert Leonhard, che ha richiamato l’Europa all’esigenza di diventare una fabbrica di tecnologia digitale.
Milano, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni)

Che senso possiamo attribuire all’appello del futurologo Gert Leonhard, che ha richiamato l’Europa all’esigenza di diventare una fabbrica di tecnologia digitale.
Dati gli esigui “spazi di manovra” tradizionali rimasti, gli europei, per competere sui diversi fronti mondiali, devono impegnarsi allo spasimo, puntando sulla chance che hanno a disposizione: il back ground culturale.
Le cifre parlano chiaro: se mettiamo a confronto i tre giganti economici del mondo – Stati Uniti, Cina, Unione Europea e la Russia non fa certo da spettatrice – ci rendiamo conto che l’Europa deve per forza rivoluzionare la sua cultura e la sua tradizione imprenditoriale secolare.

I macrodati portano a questa conclusione. Gli Usa, con un pil procapite di 59.600 dollari, una densità della popolazione di soli 34 abitanti per kmq e grandi risorse naturali mostrano tutta la loro potenzialità di ulteriore crescita, sia economica che demografica. La Cina, con 9.600/17.500 dollari pro capite/ppa, e 146 abitanti per kmq, nonostante lo straordinario sviluppo degli ultimi decenni, mai verificatosi nella storia, è ben lontana dai massimi livelli. I dati medi dell’Europa ( se mai hanno un senso ) mostrano un pil pro-capite ricco, 34.800 dollari ( da 81.000 del Lussemburgo a 8600 della Bulgaria ), e una densita’ di 116 abitanti per kmq: livelli ambedue elevati. I due fattori, combinati ci dicono dell’esiguo spazio che, sul piano quantitativo, residua alla crescita europea.
Tanto piu’ che questi dati medi sono, in un certo senso forzati, calando in una realta’ statuale non federale, in cui gli stati pensano solo al proprio “particulare”.

E dunque occorre puntare sulla qualita’.
Nella prospettiva di questo radicale mutamento l’Italia parte svantaggiata. Da un quarto di secolo la nostra economia è ferma, o quasi. Perchè la gran parte degli imprenditori, rimasti al mito del ‘piccolo è bello’, è in parte refrattaria ai cambiamenti imposti dalla tecnologia: dominata allora dal motore elettrico, neutro rispetto alla dimensione di impresa, oggi dal digitale, che favorisce le imprese di grandi dimensioni. Nella media le imprese italiane appaiono incapaci di sfruttare le nuove tecnologie. Ed un grande Paese non può dipendere da un pugno di imprese di successo.

Soprattutto quando le condizioni economiche del mondo si vanno oscurando a causa  della congiuntura dei conflitti commerciali aperti dall’amministrazione americana e dall’affanno dell’economia cinese. La nostra economia sta subendo, attraverso la Germania, l’impulso negativo di questi due fattori e quella immaginata per il prossimo anno non è una vera crescita, men che meno uno sviluppo economico: si parla infatti di un aumento del Pil dello 0,5-0,8%.

Per scongiurare la decadenza storica della nostra economia vanno dunque affrontati due temi: i comportamenti degli imprenditori italiani e l’ecosistema politico e normativo in cui le imprese sono inserite. La visione di politica economica deve essere orientata all’obiettivo di aumentare il numero di imprese che competono ad armi pari, anche dimensionalmente, sui mercati internazionali.

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