COMPETITIVITA’ DA RITROVARE, DI CLERICI (ASSOEDILIZIA).

Fonte: Giornale Informazione Quotidiana
Milano, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni) Dallo scoppio della crisi, le importazioni italiane di beni di consumo sono aumentate da 80 a oltre 110 miliardi di euro; tra il 2013 e 2017, l’export è aumentato del 15,5% e l’import di quasi il 20%; nei mezzi di trasporto, le auto straniere sono arrivate a rappresentare il 65% del totale delle immatricolazioni; in agricoltura gli acquisti dall’estero hanno raggiunto i 14 miliardi di euro – il 20% del fabbisogno nazionale – mentre la superficie agricola utilizzata si è ridotta di oltre il 20%; eravamo i più importanti esportatori di pellami e scarpe, ed oggidall’estero arriva il 40% delle scarpe mentre la produzione interna si è ridotta del 40%.

Sono i dati più significativi di uno studio Bnl-Gruppo Bnp Paribas condotto da Paolo Ciocca, che lascia stupiti: come è possibile che in Italia – secondo Paese manifatturiero d’Europa dopo la Germania – si rinunci a produrre, si chiudano stabilimenti, si licenzino operai, si abbandoni la campagna per acquistare all’estero gli stessi prodotti, o alimenti?

Certo, c’è la delocalizzazione: un’azienda italiana talvolta trova più conveniente trasferire la produzione in un Paese dove il lavoro costa meno e lasciare la madrepatria dove il sindacato è più forte. Ma questo riguarda soltanto il 10% del fenomeno nel suo complesso. Negli ultimi anni, il sistema manifatturiero italiano sembra, però, anche aver perso competitività: tra il 2005 e il 2016, i prezzi alla produzione interni sono cresciuti del 13%, mentre l’aumento dei prezzi all’importazione si è fermato al 2%, rappresentando una maggiore convenienza ad acquistare dall’estero piuttosto che produrre internamente.

Più articolato il discorso per quanto riguarda l’agroindustria: secondo l’associazione della Proprietà Fondiaria di Milano, la crisi del comparto – laddove si verifica – è dovuta alla limitata dimensione delle aziende (mediamente 8,4 ettari contro i 22 del resto d’Europa), alla necessità di importare prodotti (grano duro per citare) per mantenere la produzione di pasta della quale siamo i primi produttori ed esportatori. La Pac-Politica agricola comunitaria, accusata talvolta di preferire “il bosco al campo”, quindi, non e’ la causa del fenomeno.

Ed è proprio dall’agricoltura che viene il messaggio più valido: se non possiamo competere in quantità, possiamo eccellere in qualità. L’Italia è leader in Europa con 294 prodotti Dop, Igp e Stg riconosciuti dall’Ue. In vent’anni il patrimonio agroalimentare qualificato è diventato quasi di cinque volte (+382%).
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