Giuseppe Alviti leader Associazione guardie giurate:Ecco alcuni tratti illustrativi della vigilanza privata con mafia e camorra

Tra malaffare e sicurezza privata il confine può essere molto labile. Sono ormai numerose le inchieste che svelano come, dietro agli istituti di guardie giurate armate, ci sia la camorra, che utilizza le società di vigilanza o per riciclare fondi neri oppure per imporre la protezione ai commercianti.
Napoli, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni) Ecco alcuni tratti illustrati della vigilanza privata.

Le mani della camorra sulla vigilanza: da Cinecittà ai cimiteri, i clan guadagnano con la protezione (mafiosa)

Tra malaffare e sicurezza privata il confine può essere molto labile. Sono ormai numerose le inchieste che svelano come, dietro agli istituti di guardie giurate armate, ci sia la camorra, che utilizza le società di vigilanza o per riciclare fondi neri oppure per imporre la protezione ai commercianti.

Un fenomeno preoccupante che invece non preoccupa le istituzioni, le quali anzi stanno dando sempre più spazio alla vigilanza privata, utilizzata in compiti svolti fino a pochi anni fa dalle forze dell’ordine. Palazzi delle istituzioni, ospedali, aeroporti, mezzi di trasporto, tutti ambiti dove la sicurezza è appaltata ai privati.

Del resto, basta ricordare come fosse stato lo stesso Matteo Salvini subito dopo la campagna elettorale a promettere agli operatori della vigilanza privata in uno dei suoi famigerati video che “tutte le donne e gli uomini che fanno le guardie giurate, che per ora lo Stato considera un gradino più in basso, che farò di tutto per portarvi a un livello di serenità e di dignità come tutte le altre forze dell’ordine”. In pratica ventilava la nascita di una sorta di corpo di polizia civile. Una promessa mai mantenuta.

L’ultimo esempio è arrivato a martedì 9 luglio, quando i pm della Direzione Distrettuale antimafia di Napoli hanno scoperto come i Casalesi avessero messo le mani su Cinecittà e su buona parte del territorio di Aversa.

A gestire le attività nei teatri di posa era, secondo i pm, tale Carlo Verdone, che, a differenza del suo omonimo attore, di lavoro faceva il proprietario di una società di vigilantes (oltre che, dicono i pm, il camorrista). Un’indagine che ha portato in carcere numerosi esponenti legati al clan e al sequestro di tre istituti di sorveglianza. Si tratta dell’evoluzione del pizzo, della protezione, che sempre più spesso si paga con regolare fattura alla società di guardiania e non più in contanti al picciotto.

Enrico Verso, 56 anni, detto “o Puffo”.
In manette sono finiti nomi grossi della camorra della zona di Aversa (Na), tra questi Enrico Verso, 56 anni, detto “o Puffo”, ritenuto il reggente del clan dei Casalesi – ramo Bidognetti – a Parete (Caserta), cognato del collaboratore di giustizia Raffaele Bidognetti, a sua volta figlio del boss “Cicciotto e Mezzanotte”, oggi detenuto al 41 bis.

Per lui e altre quattro persone persone, l’accusa parla di estorsione per conto dei Casalesi ai danni di imprenditori e commercianti, ai quali imponevano contratti con le loro società di sicurezza, la “N.S.P. Security sas” e la “Service & security Srl”. Con la terza società riconducibile al clan, la “Roma security service srl”, intestata a Verdone, invece, avevano allargato il loro giro d’affari alla Capitale. E proprio a Roma erano riusciti a inserirsi nel servizio di vigilanza di Cinecittà, sottoscrivendo ricchi contratti con alcuni impresari.

In una intercettazione Verdone si vanta con Verso di come gli affari vadano a gonfie vele. Euforico comunica al capo (che nel 2016 gli aveva pagato l’esame in prefettura per ottenere la licenza da guardia giurata) di aver chiuso con “gente che ha lavorato addirittura al colossal Ben Hur e ai film di 007. Gli ho fatto firmare un bimestrale da 53mila euro, qua diventiamo milionari”. “Ho chiuso quel lavoro ieri… 53.000 euro… un acconto in due mesi”, continua. Ma, secondo l’ordinanza, i Casalesi avevano anche preso a taglieggiare i commercianti cinesi della Capitale con minacce di ritorsioni condite da frasi del tipo: “che fai poi se i tuoi magazzini fumano?”.

Gli studi di Cinecittà, dove operava una società riconducibile, secondo i magistrati, al clan Bidognetti. Imagoeconomica
Sia Verso che Verdone sono due veterani della sicurezza privata, il primo, a detta del pentito Giovanni Mola, già nel 2009 “gestiva la Superpol e per assumere le guardie si faceva dare 5 mila euro a testa”. Il secondo, aveva una società poi fatta “sparire” per guai giudiziari. Per tornare sul mercato con una nuova impresa chiede aiuto a Verso: «Senti Enrico, io posso fare società con chi vuoi… ma con i camorristi no, per quello andavano bene i Buglione…”. Non un nome a caso quello dei Buglione, tre fratelli a lungo re incontrastati della sicurezza privata nel napoletano. Loro erano gli appalti per la sicurezza della Regione Campania, delle Asl, della ferrovia Circumvesuviana, degli istituti di credito, delle discariche. Per parlare solo del settore pubblico, al quale poi si aggiungeva il giro d’affari generato dal privato. Almeno 100 milioni di euro l’anno, si stima.

Certo, hanno avuto qualche guaio i tre fratelli: Carmine Buglione, per esempio, era finito sotto processo assieme con l’ex prefetto di Avellino e Benevento, Ennio Blasco. I pm Henry John Woodcock e Mariella Di Mauro li accusavano di corruzione ipotizzando che Blasco, in cambio di denaro, gioielli e viaggi, avesse agevolato due società dei Buglione (la Service Group e la Over Security), prolungando artificiosamente l’iter dell’istruttoria antimafia nei confronti delle due società. Non solo, avrebbe anche fornito informazioni segrete circa alcune interdittive antimafia emessa nei confronti di un’altra società dei Buglione dal prefetto di Taranto. Il processo però è finito a causa della prescrizione.

Un altro fratello, Antonio, il maggiore, nel settembre del 2010 fu vittima di un rapimento lampo (durò una giornata) dal quale si liberò da solo e sul quale gli inquirenti ebbero da subito forti dubbi. Nella loro carriera i Buglione sono finiti spesso sotto processo, uscendone sempre assolti. In una sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”, si legge però: “Nel corso del lungo e articolato processo è emerso con certezza che le condotte tenute dagli odierni imputati sono sicuramente censurabili sotto il profilo etico. Le irregolarità amministrative emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale, i rapporti con noti esponenti della criminalità organizzata, la gestione privata e clientelare della cosa pubblica realizzata per il tramite di un diffuso ricorso alla raccomandazione e ai rapporti privilegiati con esponenti politici e con uomini delle istituzioni, dimostrano che ci troviamo sicuramente di fronte a uomini disonesti e privi di scrupoli”.

Antonio Buglione, 59 anni, l’imprenditore del settore della vigilanza privata vittima di un sequestro lampo. Agf
Parole dure alle quali si univa poi la segnalazione del Gruppo Ispettivo Antimafia, che metteva nero su bianco: “Nei confronti delle aziende riferibili ai fratelli Buglione in virtù di tutti gli elementi riportati nella copiosa attività istruttoria, sussistono concreti, univoci elementi di permeabilità e contiguità con la criminalità organizzata e che rilevano, comunque, l’inconfutabile sussistenza nei confronti delle aziende agli stessi riferibili, dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.

Altro esempio di supposta contiguità tra sicurezza e camorra è la vicenda della società – sempre napoletana – Newpol, molto attiva in Campania, ma anche titolare di alcuni importanti appalti in Lombardia. A Milano, infatti, sorveglia tutti i cantieri della nuova metropolitana in costruzione, la M4, e ha l’affidamento comunale per la sorveglianza dei cimiteri.

Tuttavia la Newpol da oltre quattro anni (cioè dal 17 marzo 2015) è in attesa di essere iscritta alla White list della Prefettura di Milano, ovvero la lista delle società che possono operare con la pubblica amministrazione, perché in possesso della certificazione antimafia. A giugno 2017 i proprietari della società, Giusi Marrone e Crescenzo Marrone, padre e figlia, finiscono indagati insieme al altre 80 persone dalla Dda di Napoli per reati associativi, finalizzati al riciclaggio di denaro provento delle illecite attività del clan camorristico Amato Pagano. Il gip rigetta la richiesta di arresto, tuttavia per Polizia Locale di Milano e vertici della società M4 srl ce n’è abbastanza per escludere Newpol dai propri subappaltatori (in realtà, il contratto della Newpol era stato stipulato con Metroblu scrl, il consorzio costituito da Astaldi e Impregilo che fisicamente sta costruendo la metropolitana, appaltatori di M4 srl).

La talpa nel cantiere della nuova metropolitana Blu di Milano, M4, la cui guardiania è affidata alla Newpol. Agf
E qui, scatta il vero paradosso, perché Newpol non accetta l’esclusione e fa ricorso al Tar per evitare di essere espulsa dal ciclo produttivo. La motivazione, in estrema sintesi, è che la mancata risposta della Prefettura di Milano sulla richiesta di iscrizione alla white list – un ritardo, ripetiamo di ben tre anni – lederebbe il suo diritto. Del resto, dicono, se non mi dichiari mafioso, allora posso lavorare tranquillamente.

Ancora più singolare il fatto che, nonostante il ricorso al Tar, Metroblu il 21 dicembre 2018 (dieci giorni prima la scadenza del contratto con Newpol), decida di escluderla, accordandosi con Sicuritalia spa. Ma, colpo di scena, Sicuritalia non perfeziona il contratto, rinunciando a sorpresa a due anni di appalto. Così, Newpol torna in gioco e ottiene un affidamento di un altro anno, fino a dicembre 2019, avendo nel frattempo cambiato soci e dirigenti apicali. “Sulla vicenda Newpol ho chiesto informazioni ufficiali alla Prefettura”, dice a Business Insider Italia, David Gentili, presidente della commissione Antimafia di Palazzo Marino, “mi hanno assicurato che la fase istruttoria è stata completata, per cui a breve avremo provvedimenti specifici”.
Ufficio Stampa