Al Grinder Coffee Lab di Ravenna la fotografa Alessandra Dragoni ripensa Antonioni e il suo "deserto rosso"

secondo appuntamento della rassegna culturale curata da Ivano Mazzani, giovedì 25 gennaio alle 18.
Bologna, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura) Ai Giovedì del Grinder la fotografa Alessandra Dragoni fa i conti col “Deserto Rosso”

La fotografia protagonista del secondo appuntamento della rassegna culturale curata da Ivano Mazzani al Grinder Coffee Lab. La ravennate Alessandra Dragoni proporrà un suggestivo percorso sulle orme di Michelangelo Antonioni.

Correva l'anno 1964. Sul set di “Deserto Rosso”, Michelangelo Antonioni è preoccupato: dov'è la nebbia che gli avevano promesso i ravennati? Nonostante sia pieno inverno, il sole a Ravenna splende più che mai, spazzando via il grigiore ricercato dal regista ferrarese. La troupe è costretta a interrompere le riprese e attendere il maltempo. “Troppo sole per Antonioni”, titola ironicamente un trafiletto de Resto del Carlino del 9 gennaio 1964.

Da questo titolo prende le mosse l'incontro con la fotografa ravennate Alessandra Dragoni, nata proprio nello stesso anno della permanenza in città del grande cineasta, che si terrà il prossimo giovedì 25 gennaio al Grinder Coffee Lab di Ravenna, alle 18, come sempre a ingresso libero.

Attraverso un lungo lavoro di ricerche iconografiche, in archivi pubblici e privati, la Dragoni ha cercato di ricostruire un'immagine fotografica della città bizantina di quel periodo, partecipe del grande miracolo economico italiano, eppure allo stesso tempo singolarmente grigia e statica, come l'ha voluta ritrarre lo stesso Antonioni.

«Così come per la troupe di “Deserto Rosso”», spiega Alessandra Dragoni, «l'attesa è uno stato molto famigliare anche per il fotografo. Il titolo dell'incontro raccoglie, in maniera sintetica e metaforica, le condizioni necessarie alla creazione di un'opera: non si può ottenere quello che si ha in mente se non si ha la pazienza che si verifichino le condizioni da noi previste.»

«Ripensare a “Deserto Rosso” ha significato per me lavorare ad un materiale già esistente. Le domande che mi sono posta rispetto al film erano tutte rivolte al tempo della creazione dell'opera, alle sue origini. Com'era la città nell'inverno del 1963-1964? Di cosa parlavano i giornali? Che cosa stava succedendo nel mondo? L'archivio della Biblioteca Classense e la collaborazione di privati cittadini, con i loro album di famiglia, han fatto sì che io potessi ritornare a quei giorni per cercare di riprodurli, in un certo senso riviverli, attraverso le immagini.»
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