Fondazione Leonardo: da Violante a Floridi, il declino di un modello autorevole verso un’autoreferenzialità preoccupante
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La rivoluzione digitale non si arresta, anzi accelera sempre di più, rendendo complesso stare al passo con le trasformazioni in atto. Le ultime innovazioni tecnologiche e digitali, in particolare nel campo della produzione di dati e dell’intelligenza artificiale, stanno ridefinendo profondamente l’ambiente virtuale, portando con sé non solo opportunità, ma anche rischi e distorsioni. In questo scenario, i grandi attori economici non si limitano a essere semplici spettatori, ma ricoprono un ruolo attivo e spesso determinante.
Anche Leonardo cerca di inserirsi in questo contesto con un intento dichiaratamente formativo, presentando oggi, in una conferenza alla Camera nella Sala della Lupa, la nuova "Fondazione Leonardo ETS", che avrà come presidente il filosofo Luciano Floridi. L’evento ha visto la partecipazione dell’Amministratore Delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, della Direttrice generale della Fondazione, Helga Cossu, e dello stesso Floridi. Presenti anche Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera dei Deputati, Alberto Gusmeroli, presidente della Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera, e Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo.
Se sotto la presidenza di Luciano Violante la Fondazione Leonardo si era distinta per una gestione più equilibrata, attenta agli aspetti etici e istituzionali dell’innovazione tecnologica, il nuovo corso guidato da Floridi appare più orientato verso una visione astratta e accademica, con conseguenze preoccupanti sul piano della concretezza e del rigore scientifico.
Uno degli aspetti più evidenti e critici di questa nuova gestione è l’abbandono della Fondazione da parte di numerosi scienziati di chiara fama, che avevano dato lustro e credibilità all’ente. Figure di spicco del panorama scientifico e tecnologico italiano e internazionale, che avevano garantito alla Fondazione una base solida e una capacità di dialogo con il mondo accademico, industriale e istituzionale, hanno preferito defilarsi di fronte a un’impostazione che sembra sempre più rinchiudersi in un circolo autoreferenziale.
Al loro posto, si assiste a un cambio generazionale che, se da un lato può sembrare un segnale di apertura alle nuove leve, dall’altro pone seri interrogativi sulla capacità della Fondazione di affrontare sfide complesse con il necessario livello di competenza ed esperienza. Un gruppo di entusiasti giovani può certamente portare energia e nuove idee, ma non si può chiedere loro di costruire il futuro di un Paese senza l’affiancamento di chi ha già tracciato percorsi solidi e concreti.
Un altro elemento di forte preoccupazione riguarda la progressiva chiusura della Fondazione intorno al solo mondo Leonardo, un fenomeno che rischia di compromettere la capacità dell’ente di rimanere un punto di riferimento pluralista nel dibattito sull’innovazione tecnologica.
Mentre nella precedente gestione la Fondazione si muoveva in un contesto più aperto, capace di dialogare con istituzioni, università, aziende pubbliche e private, oggi si registra un evidente restringimento del perimetro operativo, con un focus quasi esclusivo sugli interessi e sulle strategie di Leonardo Spa. Questo cambio di prospettiva porta con sé il rischio concreto di trasformare la Fondazione in un semplice organo di supporto all’azienda, piuttosto che un reale attore indipendente nella promozione di una cultura dell’innovazione aperta e inclusiva.

Se in passato la Fondazione Leonardo rappresentava un ponte tra mondo scientifico, politico e industriale, oggi sembra sempre più un’emanazione diretta di un’unica azienda, senza più quella capacità di mediazione e di influenza che ne aveva fatto un interlocutore credibile e rispettato.
La nuova Fondazione si propone di divulgare, dibattere e promuovere la ricerca nell’ambito dell’innovazione tecnologica, con un’attenzione particolare alle discipline STEM e al loro impatto sulla competitività e la parità di genere. Tuttavia, se sulla carta il progetto sembra ambizioso, nella pratica emergono alcune criticità.
Il passaggio al modello di ente del terzo settore (ETS), strombazzato come un segnale di apertura e trasparenza, potrebbe in realtà tradursi in una maggiore autonomia decisionale della governance, con un minor controllo da parte delle istituzioni pubbliche. Questo rischio è accentuato dalla sostituzione di figure scientifiche di alto livello con un consiglio direttivo dominato da accademici e giovani ricercatori, spesso privi dell’esperienza necessaria per incidere realmente sulle dinamiche economiche e produttive dell’innovazione tecnologica.
Inoltre, mentre in passato la Fondazione Leonardo aveva promosso un approccio critico e bilanciato sulle nuove tecnologie, oggi il nuovo assetto potrebbe renderla più permeabile a una narrazione unilaterale e acritica sul digitale, allineata agli interessi di pochi grandi attori del settore e meno attenta ai potenziali effetti negativi dell’innovazione.
Il cambio di governance della Fondazione Leonardo ETS segna una discontinuità importante rispetto al passato. La gestione di Luciano Violante aveva assicurato una supervisione rigorosa sugli impatti delle nuove tecnologie, mantenendo un dialogo aperto con istituzioni e cittadini. Oggi, con la guida di Luciano Floridi e l’orientamento più accademico della Fondazione, si rischia una deriva meno concreta, più autoreferenziale e meno incisiva nel contesto industriale e normativo.
L’uscita di scena di importanti scienziati e tecnici, sostituiti da un gruppo di giovani talenti che, per quanto brillanti, non possono essere chiamati a costruire da soli il futuro tecnologico del Paese, rappresenta un segnale d’allarme che non può essere ignorato.
Se a questo si aggiunge la chiusura della Fondazione attorno al solo ecosistema Leonardo, senza più quel respiro internazionale e quella capacità di coinvolgere attori diversi, è chiaro che ci troviamo di fronte a una struttura destinata a perdere progressivamente peso e autorevolezza nel dibattito sull’innovazione.
L’innovazione digitale pone sfide enormi e servono istituzioni capaci di affrontarle con pragmatismo, evitando il rischio di lasciarsi trascinare da una narrazione entusiasta e acritica. Il timore è che la nuova Fondazione Leonardo, nella sua attuale forma, non abbia né la struttura né la leadership per svolgere efficacemente questo compito.
Ufficio Stampa
Antonio Ruffo
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