FONDATION BEYELER - Comunicato stampa Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio 31 gennaio – 8 maggio 2016

FONDATION BEYELER Comunicato stampa Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio 31 gennaio – 8 maggio 2016
RIEHEN - BASILEA, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura)
FONDATION BEYELER



Comunicato stampa
Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio 31 gennaio – 8 maggio 2016

La Fondation Beyeler inaugura l’anno 2016 con la prima retrospettiva dedicata nel XXI secolo in Svizzera all’opera variegata ed estrosa di Jean Dubuffet. La mostra “Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio” si tiene dal 31 gennaio all’8 maggio 2016 e presenta più di 100 lavori del pittore e scultore francese che, da indiscusso maestro della sperimentazione, attraverso la sua opera plurisfaccettata ha infuso nuova linfa alla scena artistica del secondo dopoguerra, aprendo all’arte prospettive e possibilità inedite quanto decisive. Suggestionato dalle espressioni grafiche di autori outsider, Dubuffet riuscì a lasciarsi alle spalle norme e convenzioni estetiche e a sottoporre l’arte a una radicale revisione in direzione “anticulturale”. Jean Dubuffet (nato a Le Havre nel 1901 e morto a Parigi nel 1985) è annoverato tra gli artisti più incisivi della seconda metà del Novecento. Nel 1942, all’età di quarantun anni, Dubuffet rinunciò alla sua attività di commerciante di vini indipendente per dedicarsi interamente all’arte. Colpito dalle opere di artisti emarginati, come anche dal linguaggio formale e dai modi narrativi infantili, riuscì a liberarsi dalle tradizioni sentite come obsolete e, per così dire, a reinventare l’arte. L’influenza di Dubuffet si avverte tuttora nell’arte contemporanea e nella street art (arte di strada), per esempio in David Hockney, Jean-Michel Basquiat, Keith Haring e Ugo Rondinone. Punto di partenza della mostra è la concezione affascinante che Dubuffet ha del paesaggio, suscettibile di trasformarsi anche in corpo, viso, oggetto. Innovativo e a tratti pieno di spirito, egli sembra sovvertire le leggi e i generi della pittura: il ritratto, il nudo femminile o la natura morta divengono paesaggi viventi. Nel suo lavoro l’artista sperimenta nuove tecniche e materiali quali sabbia, ali di farfalla, spugne e scorie, creando un universo figurativo personalissimo e unico nel suo genere. La nuova visione dell’arte concepita da Dubuffet ricevette un impulso decisivo anche in Svizzera. Quando nel 1945, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’artista visitò diversi ospedali psichiatrici a Ginevra e a Berna, ebbe modo di confrontarsi da vicino con i lavori fortemente espressivi di diversi pazienti, lavori per i quali avrebbe coniato il termine “art brut”. Non da ultimo la mostra intende mettere in risalto la grande attualità dell’opera poliedrica di Dubuffet nel panorama dell’arte contemporanea. Pertanto nel catalogo si trovano a dialogare con le singole opere diverse testimonianze di artisti contemporanei che attingono sia alla concezione artistica di Dubuffet sia a svariati aspetti del suo lavoro. Tra questi non figurano soltanto nomi ormai consolidati, si pensi a David Hockney, Claes Oldenburg, Keith Haring, Mike Kelley o Georg Baselitz, ma per la prima volta anche quelli di Miquel Barceló e Ugo Rondinone, i quali hanno espressamente rilasciato delle dichiarazioni in occasione di questo evento. Accanto a importanti dipinti e sculture di tutte le fasi creative salienti dell’artista, la mostra propone anche la spettacolare opera d'arte totale Coucou Bazar, nella quale pittura, scultura, teatro, danza e musica si incontrano in un’installazione di ampio respiro. La mostra è generosamente sostenuta dalla Fondation Dubuffet di Parigi e si avvale di prestiti concessi da importanti musei internazionali e collezioni private, fra cui il MoMA e il Guggenheim Museum di New York; il Centre Pompidou, la Fondation Louis Vuitton e il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris di Parigi; la National Gallery e lo Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington; il Detroit Institute of Arts; il Moderna Museet di Stoccolma; la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf; la Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe; il Museum Ludwig di Colonia; il Kunsthaus di Zurigo e molti altri. Alcune di queste opere vengono mostrate in anteprima al grande pubblico, mentre altre si possono riammirare per la durata dell’esposizione dopo vari decenni dall’ultima volta. Tra queste è il dipinto Gardes du corps del 1943, un’immagine chiave ritenuta perduta per oltre quarant’anni, che segna in modo impareggiabile il nuovo inizio estetico nell’opera pionieristica di Dubuffet. In virtù della sua stretta collaborazione con Ernst Beyeler, Jean Dubuffet è uno degli artisti maggiormente rappresentati nella collezione della Fondation Beyeler. La mostra è a cura del Dr. Raphaël Bouvier. L’esposizione “Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio” è appoggiata da: Dr. Christoph M. e Sibylla M. Müller. Immagini per la stampa: ottenibili all’indirizzo http://pressimages.fondationbeyeler.ch Ulteriori informazioni: Elena DelCarlo, M.A. Head of PR / Media Relations Tel. + 41 (0)61 645 97 21, [email protected], www.fondationbeyeler.ch Fondation Beyeler, Beyeler Museum AG, Baselstrasse 77, CH-4125 Riehen Per l’Italia: Francesco Gattuso +39 335 678 69 74, [email protected] Orari di apertura Fondation Beyeler: ogni giorno 10.00–18.00, mercoledì fino alle 20.00 Comunicato stampa Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio 31 gennaio – 8 maggio 2016 Nella poliedrica e variegata opera di Jean Dubuffet il paesaggio rappresenta un motivo conduttore insistito che dai primi lavori alle realizzazioni più tarde attraversa tutta la produzione dell’artista, con esiti sempre sorprendenti. La retrospettiva ospitata dalla Fondation Beyeler è focalizzata sul nuovo concetto di paesaggio elaborato da Dubuffet, da cui egli trae anche molti altri spunti tematici. “Tutto è paesaggio” è una citazione di Dubuffet da prendersi alla lettera, in quanto nella sua concezione artistica il paesaggio predomina al punto che nel suo lavoro tutto è suscettibile di trasformarsi in paesaggio. Sono la capacità di rinnovamento e il piacere della sperimentazione a caratterizzare la ricchezza di sfaccettature dell’opera di Dubuffet. Anche da volti e corpi possono emergere le strutture e le trame di un paesaggio. Da questa visione nasce in Dubuffet una singolare interazione tra natura e creatura, in cui persino un oggetto, come per esempio una tavola, può farsi paesaggio. In Dubuffet, quindi, i paesaggi non sono riproduzioni fedeli di una realtà esterna, bensì traduzioni di un’immagine mentale: il paesaggio rende visibile quel luogo incorporeo ove dimora lo spirito dell’uomo. Mai Dubuffet ricerca belle scene idilliache; egli preferisce esplorare un terreno scabro il cui spaccato ne rivela la struttura geologica. Occasionalmente l’artista plasma le sue composizioni a partire da elementi del mondo fisico quali sabbia o ghiaia e ne fa i principali costituenti del quadro. Il paesaggio naturale diviene una superficie aperta su cui intervenire in libertà. Figura, paesaggio e città: Marionnettes de la ville et de la campagne e Mirobolus, Macadam & Cie Nel 1942, all’età di quarantun anni, Jean Dubuffet rinuncia alla sua attività di commerciante di vini indipendente per dedicarsi interamente all’arte. Nella sua aspirazione a un’arte innovativa e autentica che trascenda le norme culturali e le convenzioni artistiche, Dubuffet realizza dipinti che dapprima appaiono fortemente influenzati dal linguaggio formale e dai modi narrativi dei disegni infantili. In tal senso Gardes du corps del 1943, un’immagine con figure dai colori molto intensi appartenente al primo ciclo di opere di Dubuffet intitolato Marionnettes de la ville et de la campagne, segna la svolta decisiva nel suo lavoro. Già agli inizi della sua carriera artistica Dubuffet affronta il tema del paesaggio in maniera personalissima: mette a fuoco un tratto di (sotto)suolo o di terreno coperto da vegetazione, e con ciò già si preannuncia un motivo centrale nell’opera dell’artista. Le ampie superfici compositive vengono suddivise in diverse aree da una sorta di impalcatura tratteggiata e si possono leggere da un lato come parcelle, sentieri o strade, dall’altro però anche come strati di terra sovrapposti che si perdono in profondità. Nel centro del dipinto Bocal à vache, per esempio, una mucca bianca è ferma in mezzo a un campo verde simile a un recipiente che sembra in certo qual modo aver incorporato l’animale: la mucca viene a trovarsi non più sul ma piuttosto nel o sotto il prato. In Desnudus del 1945 il corpo umano si appropria di campi e sentieri ed essi tramutano la nuda figura maschile in supporto di un paesaggio inglobato. Il corpo si fa paesaggio e il paesaggio corpo. Il dialogo tra involucro esterno e vita interiore è notevolmente presente anche nei primi paesaggi di Dubuffet, opere che conferiscono centralità a facciate di edifici con le loro porte e finestre. Ed è proprio lo sguardo frontale sulle case e sui loro piani che torreggiano l’uno sull’altro ad aprire all’osservatore l’intima vita geologica di un paesaggio urbano immaginario. Anche in cicli più tardi Dubuffet si confronterà ripetutamente con lo stretto rapporto tra suolo e muro. Se Dubuffet nei dipinti risalenti alla prima metà degli anni 1940 ancora segue l’approccio tradizionale della pittura a olio su tela e stende il colore in modo alquanto piatto, a partire dal 1945 sviluppa nelle cosiddette Hautes Pâtes della serie di opere Mirobolus, Macadam & Cie un nuovo tipo di impasto colorato che modella a rilievo sulla tela, sottolineando in tal modo la materialità del colore. Lo fa unendo alla miscela colorata sabbia, fango, catrame, polvere di carbone e pezzetti di ghiaia. Con le sue Hautes Pâtes tattili, Dubuffet riesce a ricreare nei suoi quadri gli equivalenti materiali e plastici delle strutture che caratterizzano suoli e paesaggi. Il suo interesse per lo studio delle profondità di paesaggio e corpo si manifesta attraverso il gesto manuale di sovrapporre strato su strato, grattare, scavare nello spessore dell’impasto di colore – un atto fisico che rimanda alla qualità materica dell’impasto colorato. Al tempo stesso nelle Hautes Pâtes l’intenso cromatismo dei primi dipinti si riduce a una tavolozza limitata ai toni della terra. I volti attraverso il paesaggio: dai ritratti Plus beaux qu’ils croient ai Paysages grotesques Negli anni 1946 e 1947 Dubuffet produce una serie di ritratti caricaturali di amici e conoscenti che raggruppa ironicamente sotto il titolo Plus beaux qu’ils croient, relativizzando così la loro presunta bruttezza come mera convenzione estetica; tra essi vi è Monsieur Plume pièce botanique. Per Dubuffet, quindi, ciascun viso con tutte le sue particolarità strutturali è potenzialmente percepibile quale paesaggio in miniatura, in cui lo sguardo può cogliere ogni sorta di cose. Dopo essersi interessato nei suoi ritratti a nuove forme di rappresentazione del volto umano, Dubuffet sposta nuovamente l’enfasi su temi paesaggistici, stimolato dall’esperienza del viaggio nel Sahara. Tra il 1947 e il 1949, gli inverni freddi e la scarsità di carbone a Parigi indussero l’artista e sua moglie Lili a partire ripetutamente alla volta delle calde regioni desertiche dell’Algeria. Sul posto, e in Francia, nasce con il titolo Roses d’Allah, clowns du désert una serie di opere incentrate sull’esperienza del deserto e la cultura dei suoi abitanti. Dubuffet inizia a lavorare ad i suoi Paysages grotesques mentre termina le ultime tele del Sahara, che realizza essenzialmente nel 1949. I Paysages grotesques rivelano una nuova concezione del paesaggio, che scaturisce da una nuova tecnica, ma anche da un nuovo tipo di figura umana, caratterizzata da capi e corpi a forma tonda. Paesaggi corporei e corpi paesaggistici: Corps de dames e Paysages du mental Ma è nel nudo femminile, il motivo sicuramente più popolare e ricercato nella storia dell’arte per rappresentare la bellezza, che Dubuffet dimostra esemplarmente la sua rottura radicale con le norme e le sovrastrutture estetiche attraverso la trasformazione del corpo femminile in paesaggio. Nei Corps de dames in un gioco alterno paesaggio e corpo si fecondano l’un l’altro nel vero senso della parola, schiudendo nuovi e sconosciuti livelli di significato. Nella loro singolarità i “paesaggi corporei” femminili tramandano però anche antichissimi miti di fertilità e, nel farlo, portano avanti sia la tradizione figurativa del paesaggio antropomorfo sia quella delle metafore linguistiche incentrate su paesaggio e corpo. Con i Paysages du mental nasce una nuova serie di paesaggi che incomincia con Le Géologue del 1950 e si protrae fino al 1952. Nel definire “spirituali” questi paesaggi Dubuffet sposta l’area semantica dal geologico al mentale, quasi ergendosi a esploratore di abissi spirituali. Il paesaggio come natura morta e oggetto: Tables e Pâtes battues Con le Pâtes battues Dubuffet sviluppa a partire dal 1953 un’ulteriore tecnica nel trattamento materiale del colore, che consiste nell’applicare con la spatola un impasto colorato liscio sopra strati di pittura stesi in precedenza ancora umidi, facendo sì che le mani di fondo rimangano parzialmente visibili in trasparenza. Nel colore spesso e ancora morbido figure e segni vengono poi rapidamente incisi con la punta e il taglio della spatola. Per quanto attiene al motivo, prevalgono in questo gruppo di opere rappresentazioni di paesaggi e tavole che, per via del loro vicendevole compenetrarsi, già in quadri precedenti erano definiti dall’artista Tables paysagées. Il paesaggio come materiale: dalle Ailes de papillons alle Petites statues de la vie précaire Se fino a quel momento Dubuffet aveva sperimentato in svariati modi con gli equivalenti materiali di strutture paesaggistiche nel quadro, con le variopinte ali di farfalla della serie dei collage di piccolo formato compiuta tra il 1953 e il 1955 egli passa all’impiego di un materiale tratto direttamente dalla natura. L’artista riflette anche in maniera sottile sul ciclo di morte e palingenesi in natura e arte secondo l’antico simbolo della rinascita rappresentato dalla trasformazione della crisalide in pupa e dalla successiva metamorfosi in farfalla. Inoltre, poiché le farfalle nella tradizione iconografica incarnano l’anima umana, i giocosi paesaggi falenici di Dubuffet si possono in certa misura interpretare anche come variazioni dei Paysages du mental. Con la sua prima serie di sculture Petites statues de la vie précaire, iniziata nel 1954, l’artista traspone il suo materiale nella terza dimensione. Al posto del marmo e del bronzo Dubuffet utilizza materie desuete in campo artistico quali spugne, legname galleggiante, pietra lavica, carbone vegetale. Questi semplici elementi tratti dalla natura si compenetrano in modo apparentemente casuale, fino a divenire così inequivocabilmente lo spirito della terra. Scomposizione e (ri)costruzione del paesaggio: Tableaux d’assemblages A partire dalla metà degli anni 1950 il soggiorno a Vence, nel sud della Francia, ispira a Dubuffet un nuovo gruppo di lavori, i Tableaux d’assemblages, nei quali l’artista ora applica alla pittura il procedimento già impiegato nei collage con le ali di farfalla. Egli dapprima taglia la tela per poi rimetterne insieme i singoli pezzi seguendo un ordine che per lui ha un senso. L’atto di sezionare la natura non tradisce soltanto lo sguardo sia anatomico sia geologico che l’artista rivolge al paesaggio, ma anche il retaggio mitico lascia un suo segno. E davvero nella concezione paesaggistica di Dubuffet riecheggia una fondamentale ricerca delle origini, che corrisponde perfettamente alla sua idea di arte. La celebrazione del suolo: dalle Topographies e Texturologies agli Eléments botaniques e alle Matériologies Dalla metà degli anni 1950 Dubuffet conduce in tutta una serie di opere un’indefessa sperimentazione con strutture che richiamano i paesaggi più disparati. Evita vedute monumentali sulla natura e vi preferisce altre del tutto prosaiche. Nel ciclo Topographies riprende la forma peculiare e innovativa dei suoi collage per rappresentare paesaggi usuali che “celebrano il suolo”. Nella serie Texturologies crea superfici naturali sconfinate, che elabora tramite spruzzate di colore, graffiature, smerigliature e raschiature. Le Matériologies non si accontentano più di sostanze organiche ma integrano anche materiali lavorati come per esempio fogli di carta d’argento e d’oro. Paesaggi urbani: Paris Circus La serie Paris Circus segna nel 1961 l’inizio di una nuova fase artistica in Jean Dubuffet, che coincide con la riscoperta di una policromia vieppiù esplosiva e un rinnovato interesse per i paesaggi urbani. Se i dipinti degli anni 1950 erano dedicati principalmente ai suoli agricoli, ora l’artista si concentra sulla caotica vita nelle strade di una metropoli immaginaria, nata dalla sua personale visione di Parigi. In questo cosmo estraneo si scontrano opposti quali interno ed esterno, vicino e lontano, alto e basso, largo e stretto, profondo e piano; in tal modo le esperienze spaziali correnti vengono scosse e letteralmente messe in dubbio dalla base. La creazione di un paesaggio altro: L’Hourloupe Nell’arco di dodici anni nasce tra il 1962 e il 1974 il ciclo più onnicomprensivo di Dubuffet, che l’artista battezza con un neologismo polisemico di sua invenzione, L’Hourloupe. Lontane origini di questo imponente gruppo di opere, che oltre a dipinti e lavori grafici include anche sculture nonché installazioni scultoree, architettoniche e teatrali, sono gli scarabocchi tracciati distrattamente con la penna a sfera durante le telefonate. Essi costituiscono il punto di partenza per un universo parallelo del tutto particolare, caratterizzato da forme organiche dai contorni decisi assimilabili ad amebe, incastrate l’una nell’altra a guisa di puzzle, ma che si distinguono per differenti tratteggi e campiture di colore. In L’Hourloupe Dubuffet agisce per la prima volta sistematicamente come uno scultore. Con materiali sintetici quali polistirolo, poliestere e resina epossidica, crea una varietà di sculture che in parte assumono dimensioni monumentali e spesso si rapportano al paesaggio in una stretta compenetrazione tra arte e natura. La frequentazione di questi paesaggi artificiali equivale a entrare fisicamente in un quadro. In quanto opera d’arte totale, il ciclo L’Hourloupe si risolve nel grande lavoro teatrale Coucou Bazar, nel quale convergono in maniera singolare pittura, scultura, danza, linguaggio e musica. Sulla scena figure isolate interagiscono continuamente con elementi scenici, e costituiscono nella loro totalità un paesaggio di figure modulari in costante mutamento. Luogo e non luogo nell’opera tarda: Théâtres de mémoire, Mires e Non-lieux Gli ultimi dieci anni creativi di Jean Dubuffet sono contraddistinti da un’intensa produzione artistica che procede per cicli sempre diversi. Tra i più importanti si annovera la serie Théâtres de mémoire, ispirata a un testo di Frances Yates ed elaborata dal 1975 al 1978. Si tratta di assemblaggi di grande formato che rimeditano l’opera dell’artista in una specie di retrospettiva. Mires e Non-lieux non fanno più riferimento a un paesaggio esteriore, ma agli intimi pensieri astratti e al mondo dello spirito. Da tali opere Dubuffet desume infine i concetti di “non accaduto” e di “cessazione di un processo”, finendo con il porre in dubbio il suo stesso lavoro di artista. Il potenziale di trasformazione del paesaggio rimanda in Dubuffet a una radicale relativizzazione del dominio umano e delle convenzioni culturali del nostro mondo, e con ciò persegue l’onnipresente principio della libertà e della riflessione in arte. Partendo dal significato del paesaggio, Dubuffet in un precoce sguardo retrospettivo scriverà: “Credo che nei miei lavori m’importasse soprattutto rappresentare in che cosa consista il nostro pensiero. Non la rappresentazione del mondo oggettivo, ma ciò che esso diventa nel pensiero.” La mostra è a cura del Dr. Raphaël Bouvier. L’esposizione “Jean Dubuffet – Metamorfosi del paesaggio” è appoggiata da: Beyeler-Stiftung Hansjörg Wyss, Wyss Foundation Dr. Christoph M. et Sibylla M. Müller Le performance di Coucou Bazar sono state rese possibili grazie al generoso sostegno della Fondazione Heinz Spoerli ed agli Amici della Fondation Beyeler, ed in particolare a: Heinz Spoerli Dorette Gloor-Krayer Michael e Ursula La Roche Immagini per la stampa: ottenibili all’indirizzo http://pressimages.fondationbeyeler.ch Ulteriori informazioni: Elena DelCarlo, M.A. Head of PR / Media Relations Tel. + 41 (0)61 645 97 21, [email protected], www.fondationbeyeler.ch Fondation Beyeler, Beyeler Museum AG, Baselstrasse 77, CH-4125 Riehen Per l’Italia: Francesco Gattuso +39 335 678 69 74, [email protected] 31 gennaio – 8 maggio 2016 Immagini per la stampa http://pressimages.fondationbeyeler.ch L’utilizzo del materiale illustrativo è consentito soltanto per fini editoriali nel quadro dell’attuale resoconto stampa. La riproduzione è permessa esclusivamente in relazione alla relativa mostra in corso durante la durata della stessa. Ogni altro uso – in forma sia analogica sia digitale – necessita dell’autorizzazione concessa dai titolari dei diritti. Un utilizzo puramente privato del materiale illustrativo non è soggetto a queste condizioni. Vogliate prego far uso delle didascalie e dei rispettivi copyrights. Siete pregati cortesemente di farci pervenire una copia d’obbligo. FONDATION BEYELER 01 Jean Dubuffet Mêle moments, 1976 Momenti commisti Acrilico e collage su carta intelata, 248,9 x 360,7 cm Private Collection, Courtesy Pace Gallery © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: Courtesy Pace Gallery 03 Jean Dubuffet Gardes du corps, 1943 Guardie del corpo Olio su tela, 116 x 89 cm, Private Collection, courtesy Saint Honoré Art Consulting, Paris and Blondeau & Cie, Geneva © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: Saint Honoré Art Consulting, Paris and Blondeau & Cie, Geneva 06 Jean Dubuffet Le Commerce prospère, 1961 Il commercio prospera Olio su tela, 165 x 220 cm, The Museum of Modern Art, New York, Mrs Simon Guggenheim Fund © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: © 2015. Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence 07 Jean Dubuffet Lettre à M. Royer (désordre sur la table), 1953 Lettera al signor Royer (disordine sul tavolo) Olio su tela, 81 x 100 cm Acquavella Modern Art © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: © Acquavella Modern Art 04 Jean Dubuffet Bocal à vache, 1943 Vaso con mucca Olio su tela, 92 x 65 cm Collezione privata © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: P. Schälchli, Zurigo 05 Jean Dubuffet Fumeur au mur, 1945 Fumatore contro un muro Olio su tela, 115,6 x 89 cm Julie and Edward J. Minskoff © 2015, ProLitteris, Zurich 02 Jean Dubuffet Paysage aux argus, 1955 Paesaggio di licenidi Collage con ali di farfalla, 20,5 x 28,5 cm Collection Fondation Dubuffet, Paris © 2015, ProLitteris, Zürich 31 gennaio – 8 maggio 2016 FONDATION BEYELER 08 Jean Dubuffet Le Voyageur égaré, 1950 Il viaggiatore smarrito Olio su tela, 130 x 195 cm Fondation Beyeler, Riehen/Basilea, Collezione Beyeler © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: Cantz Medienmanagement, Ostfildern 11 Jean Dubuffet Monsieur Plume pièce botanique (Portrait d’Henri Michaux), 1946 Monsieur Plume, figura botanica (Ritratto di Henri Michaux) Olio e tecnica mista su legno,108 x 89 cm Collection of Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, New York. The Charles E. Merrill Trust and Elisabeth H. Gates Fund, 1967 © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: © 2015. Albright Knox Art Gallery/Art Resource, New York/Scala, Florence 10 Jean Dubuffet Automobile à la route noire, 1963 Automobile su strada nera Olio su tela, 195 x 150 cm Fondation Beyeler, Riehen/Basilea, Collezione Beyeler © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: Peter Schibli, Basel 15 Jean Dubuffet Le Deviseur I, 1969/2006 Il chiacchierone I Poliuretano su resina epossidica, 319 x 200 x 70 cm Collezione Paul Schärer © 2015, ProLitteris, Zurich Foto: © Jean Dubuffet. Collection Privée, Suisse. Courtesy Galerie Jeanne Bucher Jaeger, Parigi 16 Jean Dubuffet intento a preparare una tela, New York, 1951/52 © Foto: Kay Bell / Archives Fondation Dubuffet, Paris 17 Jean Dubuffet nel Jardin d’hiver a Périgny-sur-Yerres, 1970 © Foto: Kurt Wyss, Basel / Archives Fondation Dubuffet, Paris 14 Jean Dubuffet Coucou Bazar, 1972–1973, Veduta dell’installazione Collection Fondation Dubuffet, Parigi © 2015, ProLitteris, Zurich Foto: Les Arts Décoratifs, Paris/Luc Boegly 12 Jean Dubuffet Corps de dame paysagé sanguine et grenat, 1950 Corpo di donna paesaggistico in sanguigna e granato Olio su tela, 138 x 87 cm Collection of Samuel and Ronnie Heyman, USA © 2015, ProLitteris, Zurich 13 Jean Dubuffet Le Viandot, 1954 Il tipo carnoso Scorie, 36,5 x 16 x 9 cm Moderna Museet, Stockholm, Bequest 1989 of Gerard Bonnier © 2015, ProLitteris, Zurich Photo: Moderna Museet, Stockholm/Albin Dahlström 09 Jean Dubuffet Façades d’immeubles 1946 Facciate di edifici Olio su tela, 151 x 202 cm National Gallery of Art, Washington, Gift of the Stephen Hahn Family Collection, 1995 © 2015, ProLitteris, Zurich Jean Dubuffet, la Svizzera, Basilea e la Collezione Beyeler Nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, Jean Dubuffet si trattenne per parecchie settimane in Svizzera, e qui la sua attenzione fu richiamata sulle opere fortemente espressive di alcuni pazienti ricoverati in ospedali psichiatrici a Berna e Ginevra. Per tali creazioni artistiche, fino a quel momento marginalizzate, Dubuffet coniò il termine “art brut”. Durante il suo viaggio si imbatté anche nelle sculture del carcerato Joseph Giavarini, morto nel 1934 e diventato famoso come “Le prisonnier de Bâle”. Molti di questi lavori di nuova scoperta entrarono a far parte della leggendaria raccolta di art brut donata nel 1971 dall’artista alla città di Losanna, dove oggi ha degna sede nella Collection de l’Art Brut. Ernst Beyeler fu profondamente colpito dalla carica artistica innovativa di Dubuffet. Grazie alla mediazione di Jean Planque, suo agente di lunga data, Beyeler conobbe l’artista già nei tardi anni 1950. Nonostante un certo riserbo iniziale, tra gallerista e artista gradualmente nacque un’intensa collaborazione che dal 1964 al 1971 portò infine a un contratto esclusivo per le nascenti opere del ciclo L’Hourloupe, che la Galerie Beyeler condivise con la Galerie Jeanne Bucher di Parigi. È indicativo il fatto che Dubuffet sia rimasto l’unico artista rappresentato a tale titolo da Ernst Beyeler. Effettivamente Beyeler ha contribuito in maniera decisiva all’affermarsi dell’opera di Dubuffet in Europa, giacché prima di allora l’artista, grazie alla galleria di Pierre Matisse a New York, aveva suscitato curiosità e attenzione soprattutto negli Stati Uniti. Nel corso dei decenni furono venduti più di 750 lavori tramite la Galerie Beyeler, la quale inoltre, tra il 1965 e il 2009, dedicò all’artista sei esposizioni personali, fra cui una retrospettiva, nonché presentazioni temporanee presso lo stand della galleria ad Art Basel. Parallelamente a questa stretta relazione d’affari si instaurò un legame d’amicizia duraturo tra l’artista e il mercante d’arte, sebbene il tenore delle lettere che si scambiarono rimanesse sempre improntato a una trattenuta cortesia e a un certo formalismo. Non da ultimo fu grazie allo stretto rapporto di fiducia tra Ernst Beyeler e Jean Dubuffet che nel 1970 il Kunstmuseum e la Kunsthalle di Basilea organizzarono congiuntamente una mostra dell’artista nelle rispettive sedi. La lunga collaborazione fra i due trova un riscontro numerico nella collezione privata del gallerista: ben dodici opere significative dagli anni 1940 fino agli anni 1970 testimoniano con straordinaria efficacia la creatività a dir poco prorompente e gli sviluppi sempre nuovi nel lavoro dell’artista. I paesaggi rivestono una posizione di spicco in seno alla Collezione Beyeler. Nel 2011, con la preziosa donazione della Collection Renard, questo gruppo di opere già cospicuo ha alfine acquisito un’ulteriore stato di completezza. Biografia 1901 Jean Dubuffet nasce il 31 luglio a Le Havre, figlio di un negoziante di vino. 1908 Studia al Lycée di Le Havre. 1914 Nasce la sorella Suzanne. 1918 Conseguita la licenza liceale, Dubuffet si trasferisce a Parigi e segue corsi di pittura all’Académie Julian, ma lascia l’accademia privata già dopo sei mesi per lavorare da solo. 1924 Dubuffet è preso da forte dubbi sul valore e il significato dell’arte e della cultura; abbandonerà la pittura per i prossimi otto anni. 1925 Tornato a Le Havre, entra nel commercio di vini paterno. 1927 Si sposa con Paulette Bret. Muore il padre. Due anni più tardi nasce la figlia Isalmina. 1930–32 Fonda una propria azienda, un commercio di vini a Parigi. 1933–36 Affitta uno studio a Parigi per lavorare li regolarmente. Divorzio dalla sua moglie. Dà in gerenza il suo commercio di vini per consacrarsi interamente alla pittura. Incontra Emilie Carlu, detta Lili, che sposa nel dicembre del 1937. 1937–1940 Per evitare il fallimento della propria azienda interrompe un’altra volta l’attività pittorica. 1942 Decide di dedicarsi d’ora in poi esclusivamente alla pittura. L’affidamento in gestione a terzi della sua ditta lo rende finanziariamente indipendente. Inizio del lavoro sul primo gruppo di opere Marionnettes de la ville et de la campagne. 1943 Dubuffet frequenta artisti e letterati e conosce il gallerista René Drouin. 1944 La prima mostra personale nella galleria René Drouin a Parigi, presso la quale l’artista esporrà regolarmente, suscita accese polemiche. Primissime litografie. 1945 Nel suo viaggio attraverso la Svizzera prende interesse soprattutto alle produzioni della cosiddetta art brut che ha modo di vedere in ospedali psichiatrici e carceri. 1946 Gruppo di opere Mirobolus, Macadam & Cie, Hautes Pâtes. Escono i primi scritti letterari e teoricoartistici di Dubuffet. 1947 Prima mostra personale a New York presso la Pierre Matisse Gallery, dove esporrà regolarmente. Alienazione del commercio di vini. Primo soggiorno nell’oasi del Sahara algerino, a El Golea. Mostra di ritratti Plus beaux qu’ils croient nella Galerie René Drouin. 1949 Serie di opere Paysages grotesques. Pubblicazione del manifesto L’Art brut préféré aux arts culturels. 1950 Serie dei Corps de dames. 1951 Prima retrospettiva parigina presso la galleria Rive Gauche. Serie dei Sols et terrains, Tables paysagées, Paysages du mental. In novembre parte con Lili per sei mesi a New York, dove resteranno per sei mesi. 1952–53 Ritorna a Parigi. Lavora alle serie di disegni Terres radieuses e Pâtes battues e inizia i collage con ali di farfalla. 1954 Prima serie di sculture Petites statues de la vie précaire. Dubuffet va e viene tra Parigi e l’Auvergne, dove Lili si trattiene per motivi di salute. Serie delle Vaches. 1955 Dubuffet si trasferisce a Vence, dove fa costruire grandi atelier e una villa. Assemblages d’empreintes e Tableaux d’assemblages. 1956–57 Dubuffet vive e lavora tra Vence e Parigi. Serie di opere Topographies e Texturologies. 1959–1960 Diverse serie: Barbes, Eléments botaniques e Matérologies. Retrospettiva al Musée des Arts décoratifs di Parigi. 1961 Esperimenti musicali. Incomincia il lavoro su Paris Circus. 1962–63 Retrospettiva al Museum of Modern Art, New York. Inizia il ciclo de L’Hourloupe. 1964 Esce il primo fascicolo del catalogo generale; a oggi sono stati pubblicati 38 fascicoli. 1965 Prima mostra alla galleria Beyeler a Basilea, che ospiterà Dubuffet regolarmente fino al 1976. 1966 Dubuffet inizia a lavorare a un’ampia serie di importanti sculture in polistirolo dipinte. 1967 Escono i primi due volumi degli scritti di Dubuffet Prospectus et tous écrits suivants. 1969 Scultura monumentale Groupe de quatre arbres per la Chase Manhattan Bank di New York. Costruzione di nuovi atelier a Périgny-sur-Yerres presso Parigi. 1970 Vengono terminati gli atelier di Périgny; avvio dei lavori edili per la Closerie Falbala a Périgny-surYerres. Importanti mostre sia al Kunstmuseum e sia alla Kunsthalle di Basilea. 1971 Trasloco in un grande atelier impiantato nell’ex fabbrica di munizioni La Cartoucherie a Vincennes, dove vengono eseguiti i lavori preparatori dello spettacolo Coucou Bazar. 1973 Prima assoluta dello spettacolo di teatro, musica e danza Coucou Bazar in occasione della retrospettiva al Solomon R. Guggenheim Museum di New York; una seconda versione viene messa in scena a Parigi e successivamente nel 1978 a Torino. 1974 Dopo dodici anni Dubuffet completa il ciclo L’Hourloupe . La Fondation Dubuffet è riconosciuta come ente di pubblica utilità. 1975–76 Serie Théâtres de mémoire. A Losanna apre la collezione per Art Brut, che ospita la collezione di art brut che Dubuffet regalò alla città. 1980 Retrospettiva a Berlino, Vienna e Colonia. 1981 In occasione del suo ottantesimo compleanno si tengono mostre al Guggenheim Museum di New York e al Centre Pompidou di Parigi. 1983 Lavora sulla serie Mires. 1984 Dubuffet mette mano alla sua ultima serie, intitolata Non-lieux. 1985 Nel giro di pochissime settimane affida alla carta la sua Biographie au pas de course. Jean Dubuffet muore all’età di 84 anni il 12 maggio a Parigi. Jean Dubuffet: Citazioni “Mi piaceva sovrapporre bruscamente, in quei corpi femminili, il molto generale e il molto particolare, il soggettivo e l’oggettivo, il metafisico e il triviale grottesco. [...] Dallo stesso impulso derivano gli accostamenti, apparentemente illogici, che si trovano in questi nudi, trame evocanti la carne umana [...] con altre trame che non hanno più nulla a che vedere con l’umano, bensì suggeriscono piuttosto dei terreni o qualcosa di simile alla corteccia, alle rocce, a fatti botanici o geografici.” “La vera arte è sempre là dove nessuno se l’aspetta.” “Trovo che ritratti e paesaggi debbano assomigliarsi, sono più o meno la medesima cosa; voglio ritratti la cui descrizione adotti gli stessi meccanismi di quelli per la descrizione di un paesaggio, qui rughe e là solchi o sentieri, qui un naso, là un albero, qui una bocca e là una casa.” “L’arte non viene a coricarsi nei letti preparati apposta per lei; fugge via non appena si pronuncia il suo nome. Ciò che ama è l’incognito, i suoi momenti migliori sono quando si dimentica come si chiama.” “Sono persuaso che qualsiasi tavola possa essere per ognuno di noi un paesaggio vasto quanto la catena delle Ande, e per questo motivo, un posto valendo l’altro ai miei occhi, non ritengo particolarmente utile viaggiare. Devo confessare che per tutta la vita ho molto amato le tavole.” “La pittura […] opera con segni che non sono astratti e incorporei come le parole. I segni della pittura sono molto più affini agli oggetti in sé. Inoltre, la pittura lavora con materie che sono esse stesse sostanze viventi. Perciò essa consente di andare ben oltre di quanto non possano fare le parole nell’approcciare le cose ed evocarle.” “Le mie opinioni e i miei criteri riguardo all’arte erano oltretutto cambiati. Mettevo ora in dubbio tutti i valori, e la creazione artistica sembrava non avere più bisogno di quella perizia tecnica che in passato mi ero tanto sforzato di acquisire. Essa al contrario mi pareva più autentica e più efficace, impressa di una disinvolta scioltezza, quasi che avvalersene fosse la cosa più semplice, più essenziale.” “Sono paesaggi mentali. Vogliono restituire il mondo immateriale che domina lo spirito dell’uomo: un tumultuoso disordine di immagini, di immagini nascenti, di immagini evanescenti, che si accavallano e si mescolano tra loro, frammenti di ricordi delle nostre recite mischiati a processi puramente mentali e interiori – viscerali forse. La trasposizione di simili luoghi mentali sul piano dei paesaggi fisici reali […] mi sembra un’operazione interessante.” “Quando metto in moto la mia piccola macchina per produrre luoghi e persone, sul serio non so ancora dove il viaggio questa volta sia diretto, verso quale terreno sconosciuto mi porterà, quali incontri si faranno e che sorta di bottino di caccia si stenderà per terra davanti a me alla fine della giornata.” “Guarda ai tuoi piedi! Un crepaccio del terreno, ghiaia che luccica, un ciuffo d’erba, alcuni frantumi calpestati ti offrono altrettanti buoni soggetti per destare plauso e ammirazione.” “Amo i vasti mondi omogenei senza punti di riferimento né confini, come il mare, le nevi perenni, i deserti e le steppe.” “Nel mio pensiero i lavori concernenti il ciclo dell’Hourloupe sono legati gli uni agli altri, essendo ciascuno di essi un elemento destinato a inserirsi nell’insieme. Questo vuole essere la rappresentazione di un mondo diverso dal nostro, di un mondo, se si vuole, parallelo al nostro, e questo mondo si chiama L’Hourloupe.” “Eccomi alla fine stanco di tutte le immagini istituite: le effigi umane per cominciare, poi gli alberi, le case e tutti gli oggetti identificabili. Non credo più al vecchio repertorio di figure nella cui forma si vuole confinare il mondo. Ciò mi sembra sbagliato e sterile.” Sales: Martin Wichert [email protected] Presse / Press : Sara Buschmann & Lena Reich 0049 30 34 64 67 808 [email protected] More information at www.hatjecantz.de JEAN DUBUFFET METAMORPHOSES OF LANDSCAPE Edited by Fondation Beyeler, Riehen/Basel, Raphaël Bouvier Foreword by Sam Keller Texts by Sophie Berrebi, Raphaël Bouvier, Christine Burger, Michel Draguet, Andreas Franzke, Catherine Iselin and Sarah Suzuki Graphic design


Ausstellung / Exposition / Exhibition:
JEAN DUBUFFET
31.1.2016 - 8.5.2016
Kommend / Upcoming / À venir:
ALEXANDER CALDER & FISCHLI/WEISS
29.5.2016 - 4.9.2016
KANDINSKY, MARC & DER BLAUE REITER
4.9.2016 - 22.1.2017
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