Domenico Cacopardo Crovini, "PAS DE SICILE"

La recensione del Prof. Alfio Siracusano sul libro edito da Ianieri Edizioni
RIVOLI, (informazione.it - comunicati stampa - editoria e media)


M’è venuto in mente, finito di leggere questo ultimo libro, PAS DE SICILE, di Domenico Cacopardo stavolta anche Crovini, il detto antico che gallina vecchia fa buon brodo. Anche se qui a recitare nel ruolo di “vecchio” è propriamente un gallo. E lo dico perché l’autore, insolitamente autore e protagonista esplicito della vicenda (reinventatosi personaggio come in una specie di pirandellismo rovesciato), non smette di mettere in campo la sua età condita di acciacchi magari esibiti con civettuola nonchalance, mentre ci conduce con certosina precisione dentro il racconto di una strana inchiesta. Che, come accade spesso nelle inchieste, almeno in
quelle serie, zigzaga da sé sui fatti da accertare riservando sorprese rivelatrici di verità o ignorate o accuratamente nascoste.


Ma veniamo ai fatti. Gli amministratori di un paese immaginario del territorio lombardo, Candora, il cui nome è trasparente metafora onomatopeica di buona amministrazione e di pregevole senso civico, hanno deciso di celebrare il centenario della fondazione del comune e con esso la figura del personaggio, Siro Sieroni, che alla fine della guerra, insediatosi lì e provvisto di mezzi finanziari quasi illimitati, vi aveva impiantato attività economiche che si erano trasformate in benessere e lavoro per l’intera cittadinanza.

L’idea, ben finanziata dall’Amministrazione comunale, è di pubblicare un libro che racconti ed esalti la figura del benefattore,
eletto a padre di quella patria. A tal fine pensano di rivolgersi al vecchio segretario di quel comune diventato nel frattempo alto funzionario dello stato e famoso scrittore. E ormai in pensione. Il nostro autore, ovviamente. Che, pur con qualche titubanza, accetta a patto di poter lavorare come gli detta il suo scrupolo di ex funzionario molto navigato, per di più magistrato serio e rigoroso
e, da ultimo, scrittore di romanzi.

Con stile volutamente certosino e squisitamente burocratico il nostro racconta quasi ad horas le fasi dell’inchiesta, che a mano a mano però rivela ben altro che la leggenda del benefattore che ha dato lavoro a tanti padri di famiglia e creato la prosperità di quei luoghi. Fa emergere invece vicende squallide che conducono alle leggi razziali promulgate dal fascismo nel 1938, al sequestro dei beni degli ebrei e al loro incameramento, nel marasma seguito al ’43, da parte di tanti che, o fascisti o spie o delatori o semplicemente lestofanti privi di scrupoli, si arricchirono con quei beni. E si inserirono indisturbati nella nuova Italia democratica. Il benefattore Sieroni fu uno di questi, e di quella truffa lasciò più di una traccia nella sua discendenza, anche se in essa germogliò, nella figura di un figlio illegittimo anche se poi riconosciuto, pure il seme di un rifiuto di quella disonestà. Che nel patriarca, per di più, aveva continuato ad esprimersi in altre squallide modalità che l’inchiesta a poco a poco fa emergere insieme ai torbidi intrecci che rivelano un modo di amministrare la città che ha poco o nulla a che fare con la metafora contenuta nel suo nome. Cosa che continua fin quasi alla fortunosa e avventurosa pubblicazione del libro che finisce così col produrre una eterogenesi dei fini,
esplicitamente indicata dall’autore.


A questo punto diventa obbligatorio chiedersi il perché di questo titolo, Pas de Sicile, che suona come uno sberleffo e sembra solo indicare l’allontanamento dalla Sicilia come tema preferito dei libri di Cacopardo, coi suoi intrighi amorosi e le sue nefandezze morali. E viene invece spontaneo immaginare che ci sia un retropensiero nella scelta di evocare in esso la Sicilia anche se essa non ha quasi posto nella trama. Ed è che in questo nord baciato dal benessere economico (Candora come metafora) e immaginato come ben altra cosa rispetto alla Sicilia e a quasi tutto il meridione identificato con mafia, camorra e ndrangheta, si è ormai come incistato un modo di essere che non ha nulla da invidiare alle malefatte del vituperato meridione. Ed è ormai la malattia dell’Italia intera. Ripiombata peraltro in un vortice di mala politica che fa paventare un ritorno del fascismo, anche se non pavesato dei tragicomici rituali del ventennio. Certi cenni all’attualità non sono casuali. Sono messaggi. Siamo dunque in presenza di un libro politico, è questo Pas de Sicile. E come tale un libro etico, che mette in campo la schiena dritta di un ex magistrato
orgogliosamente socialista e svela il marcio di una famiglia che ha prosperato sulla sventura di perseguitati e in alcuni suoi membri ha vissuto nell’assenza totale di scrupoli, sul piano finanziario come su quello morale. Mentre la politica si è serenamente adagiata su quello che “si poteva dire”, o che era “opportuno” dire. E non era la verità. Triste riprova della deriva in cui sembriamo avviati.
Non è certo un caso che in appendice Cacopardo riporti per intero in tutti i suoi 29 articoli, per chi se ne fosse scordato, il Regio decreto legge 17 novembre 1938-XVII. N. 1728 – Provvedimenti per la difesa della razza italiana. Nella speranza contenuta in un altro antico detto: Repetita iuvant.


                                                                                                                                                                                       Alfio Siracusano

Ufficio Stampa