Sudan: una nuova cultura per non andare fuoristrada… di Daniela Gurrieri

Voci sempre più autorevoli si levano per denunciare il fallimento di decenni di interventi internazionali per lo sviluppo dei paesi poveri. La denuncia, con tanto di statistiche (vedi ad es. Fredrik Erixon Aid and Development: will it work this time?, International Policy Network 2005), è che lo sviluppo di questi paesi è inversamente proporzionale agli aiuti economici che ricevono.
, (informazione.it - comunicati stampa - non profit) In altre parole, in questi anni, più i paesi in via di sviluppo ricevevano assistenza per uscire dalla povertà, più la loro economia si indeboliva. La soluzione alla povertà non sono dunque i soldi? Ma di quale povertà e di che tipo di aiuti parliamo?

Sono di ritorno dal Sudan, dove insieme a mio marito e a 3 dei nostri 4 figli, abbiamo trascorso 1 mese come volontari dell’associazione Italia Solidale. Da 2 anni si vive in pace, dopo una guerra durata 22 anni. Si parla di oltre 2 milioni di morti e 4 milioni di sfollati. A Juba, capitale del Sud Sudan, ora si respira aria di speranza. I mercati hanno ricominciato a pullulare di gente, i banchi sono pieni di prodotti e merci, anche se in gran parte “made in china”. Gli arabi sono tutti ritornati al Nord e dunque ci si muove liberamente, anche se fuori dalla città ci sono ancora enormi zone minate e gruppi di ribelli dell’LRA (i ribelli del Nord Uganda, che in questi mesi stanno trattando la pace col governo di Museveni proprio qui a Juba) che fanno scorrerie, ferendo e a volte ancora uccidendo.

I sudanesi del sud vogliono riprendersi il loro paese finalmente, la loro terra con tutte le ricchezze che possiede, ma a distanza di un anno gli occhi delle persone mi appaiono più spenti. Rimango perplessa e cerco di capire. Mi guardo in giro e noto per le vie malamente asfaltate della città un intenso via vai di costosissimi fuoristrada. Mi sembrano decuplicati rispetto allo scorso anno. Eppure la città altro non è che un agglomerato di poveri villaggi di sfollati. Cerco di capire un po' meglio e mi guardo intorno più attentamente: accanto alle misere capanne, soprattutto nelle rigogliose aree lungo il Nilo, sorgono seminascosti dalla vegetazione eleganti comprensori, abbelliti da antenne paraboliche e larghi cartelli agli ingressi, con i loghi delle organizzazioni (umanitarie per lo più) a cui appartengono, scrupolosamente circondati da alte mura di cinta con tanto di filo spinato, da cui i fuoristrada entrano ed escono.

Al volante ci sono quasi sempre africani vestiti all’occidentale, con giacca e cravatta anche a temperature di 45 gradi. Sudano, ma fanno finta di niente e continuano a parlare al cellulare. Gli stessi veicoli, con gli stessi vistosi loghi, sostano spesso, all’ora di pranzo e cena, nei pressi dei pochi (costosissimi) ristoranti della città, accanto a quelli di funzionari governativi e uomini d’affari. Stessa scena davanti agli hotel, che chiedono minimo 100 dollari a notte. Con questa cifra una famiglia qui va avanti 3 mesi. Comincio a capire qualcosa. La guerra è finita, gli arabi sono andati via, ma qualcosa di più pericoloso minaccia ora la vita delle persone.

Da 15 anni Italia Solidale aiuta i bambini e le famiglie di Juba. Grazie a circa mille italiani con le adozioni a distanza, attraverso noi e i nostri volontari del posto (sia suore che laici), sono state alleviate le sofferenze terribili di questa gente, prigioniera durante la guerra in questa città, roccaforte del governo di Khartoum. Con toccanti testimonianze ci dicono che abbiamo rappresentato per loro in questi anni la salvezza. Il cibo era scarso e costosissimo, era proibito allontanarsi dalla città anche se solo per coltivare, le vessazioni erano continue, senza di noi non ce l’avrebbero fatta e i loro bambini sarebbero morti o finiti sulla strada. Ora che la guerra è finita siamo contenti di poterli accompagnare verso una sussistenza completa della loro vita. Non è facile eppure è necessario.

Il nostro lavoro è quello di aiutarli a guarire le violenze subite nell’anima anzitutto, che non sono solo quelle causate dalla guerra. In questo mese trascorso con loro, tanti si sono aperti con noi sulla mancanza di rispetto e amore che vivono nelle loro stesse famiglie, col marito o la moglie. Violenze che si riversano anche sui bambini. Questo alimenta poi l’alcolismo, la prostituzione, il disinteresse verso il sostentamento della famiglia e l’educazione dei figli, e fa anche sì che le famiglie si isolino e non facciano più comunità tra loro. La disperazione porta alcuni di loro ad abbandonare la famiglia, alcuni arrivano alla pazzia o al suicidio. La povertà non solo rimane, ma si spoglia di ogni dignità, diventa miseria. E’ il rischio di questa gente. Ma un rischio maggiore è che si imputi la loro sofferenza esclusivamente alla povertà materiale e che si guardi quindi con grandi aspettative all’occidente, agli aiuti internazionali, agli interventi delle economie forti. La dipendenza e la frustrazione sono in agguato: dipendenza dal denaro, dal potere, dalle strutture, dalle organizzazioni, dalle multinazionali, da culture lontane da Dio e dagli uomini, le stesse che nei paesi cosiddetti “ricchi” da anni mietono vittime (basti pensare alla depressione che colpisce oggi 340 milioni di persone in maggioranza nell'Occidente, vera povertà umana!).

Siamo qui a condividere con le famiglie dei bambini adottati a distanza e i nostri volontari una cultura di sviluppo di vita e missione che li aiuti a sanare tutte le loro ferite, nel rispetto della loro meravigliosa natura e cultura. “Un nuovo sapere e un nuovo potere” attraverso cui avere coscienza dei mali reali da curare, quelli causati dal non amore e dal non rispetto, che colpiscono l'anima anzitutto, e condizionano poi la sessualità, ammalano i nervi e il corpo e ottenebrano la mente. Su questi mali è necessario un grande cammino personale e una grande forza, e l’esperienza di questa proposta, presente oggi in 91 missioni in tutto il mondo oltre che in Italia, è che in Cristo è possibile sanare tutte queste forze personali dell'Albero della Vita e arrivare a ben amare e ben lavorare, ad essere cioè persone mature che formino famiglie mature, che a loro volta vivano in comunità mature.

E' questa la preparazione che facciamo prima di passare ai “prestiti solidali”, e solo così l'aiuto economico è efficace e porta le famiglie e le comunità ad avviare con successo piccole attività per la loro sussistenza. Il prestito restituito nei modi e nei tempi da loro stessi stabiliti, è man mano destinato ad allargare la solidarietà ad altre famiglie bisognose. Da queste famiglie che vivono l'amore, la sussistenza e la missione potranno maturare vere vocazioni per una Chiesa veramente viva ed ecumenica. E per far questo non occorrono fuoristrada e comode sedi… Ora dunque la vera sfida per la gente del Sudan, e per noi che la sosteniamo, è far sì che la loro vita, violentata dalla guerra, non sia mortificata dall’assistenza, che le loro forze, soffocate da anni di sofferenza, non siano oggi frustrate da aiuti esterni irrispettosi e invadenti.

E’ una sfida che oggi possiamo vincere. Aiutateci anche voi che leggete questo articolo! Unitevi a noi di Italia Solidale con un’adozione a distanza, ci aiuterete a salvare realmente la vita di questi bambini e delle loro famiglie.
Per maggiori informazioni
Ufficio Stampa
Nadia Cassino
 Italia Solidale Vo.svi.m Onlus (Leggi tutti i comunicati)
via S.Maria de'Calderari,29
00186 Roma Italia
[email protected]
06-6877999