INTERVISTA ALLO SCRITTORE FRANCESCO BELLANTI SUL SUO ROMANZO Dialogo con il Führer - Giorni d'estate a Berchtesgaden

Dopo la presentazione del libro Dialogo con il Führer. Giorni d’estate a Berchtesgaden, avvenuta lo scorso 22 novembre presso l’I.I.S.”G.B. Odierna” di Palma di Montechiaro, l’autore Francesco Bellanti ha rilasciato la seguente intervista.
Palma di Montechiaro, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni)

di Selene Bonsignore

Quali sono le motivazioni che l’hanno portata a scrivere questo libro? 

Volevo scrivere un libro su Hitler da sempre, da quando ho letto il primo libro su Hitler 47 anni fa, ero studente liceale, ma solo quando ne ho avuto il tempo e le capacità intellettuali ed artistiche l’ho scritto. Cioè quattro anni fa. Un libro diverso, tuttavia. Infatti, non un libro storico nel senso tecnico della parola. Di grandi storici di Hitler e del Terzo Reich ce ne sono tanti in giro. Io non sono uno storico di professione, anche se ho insegnato, nella mia lunga attività di docente liceale, letteratura italiana, letteratura latina e storia. Ho deciso alla fine di scrivere un libro in cui fosse Hitler il vero protagonista, e con lui anche la sua verità, o il suo inganno. Il “fenomeno” Hitler è stato visto da una prospettiva letteraria, attraverso la sua drammatizzazione, con dialoghi, come dicevo, ma anche monologhi, soliloqui, cori, riflessioni storiche e filosofiche, letterarie. Un impianto letterario, tuttavia, fondato su decine e decine di studi storici su Hitler, su riviste e giornali dell’epoca, e su quasi tutte le interpretazioni che hanno dato sul fenomeno Hitler i più accreditati e grandi biografi e storici del cancelliere tedesco. Ad ogni modo, un’opera narrativa, non un saggio storico. Un romanzo storico, come detto, con robuste fondamenta di verità. Una drammatizzazione su Hitler e sul Nazionalsocialismo basata su una ricerca storica profonda, che non ha lasciato nulla al caso.

Che Hitler esce da questo romanzo storico?

Hitler è una figura titanica, gigantesca, è il politico fondamentale per conoscere la storia dell’Occidente, e in definitiva per conoscere noi stessi e la società di oggi. Hitler ha portato alle estreme conseguenze il processo di dissoluzione di tutte le scorie dell’Occidente.  Con questo libro, io ho cercato di restituire Hitler alla storia dell’Occidente, di fare emergere responsabilità dei politici e della società del tempo. Perché Hitler è un figlio dell’Europa e il Nazionalsocialismo ha origini culturali e sociali ben precise, che affondano le radici nel Romanticismo e nell’Ottocento. Hitler non è stato lupo fra gli agnelli ma lupo fra lupi. Da nessuna parte c’è tutto il male o tutto il bene. Hitler non è stato una scheggia impazzita dell’Occidente,  il Demonio o la Bestia dell’Apocalisse, l’alieno, l’uomo venuto da un altro mondo. Il Nazionalsocialismo è un’ideologia che ha profonde radici nella storia, nella cultura, nel pensiero dell’Occidente. A parte l’infame Trattato di Versailles del 1919 e la riorganizzazione su base etnica dell’Europa, con il rafforzamento del cosiddetto pangermanesimo, l’idea del Volk, il misticismo naturistico, il nazionalismo, il disprezzo delle istituzioni democratiche e della società borghese, del capitalismo ma anche del comunismo, il mito del Medioevo e soprattutto l’antisemitismo e il razzismo facevano parte della storia dell’Occidente.

Lei affronta temi nei Suoi libri che, pur partendo da situazioni e tematiche siciliane, hanno un respiro universale, e con moduli narrativi che possiamo definire visionari. E’ solo un’impressione oppure è così?

Io, per formazione culturale ma forse anche per la professione che ho esercitato per più di quarant’anni, quella di docente di italiano e latino, di storia con forti legami con le letteratura e con la storia europee, ho sempre proiettato la mia sicilianità, intesa come cultura, in una dimensione internazionale. Ho inteso sempre i valori identitari della sicilianità, di questa terra straordinaria con un patrimonio artistico e culturale immenso, valori di alto spessore etico e culturale, come un patrimonio di cultura e di civiltà da spendere in positivo per definire e migliorare il destino del mondo. Sì, i miei interessi sono volti prevalentemente volti verso una letteratura visionaria e fantastica, molto attenta però alla storia e alla cultura popolare. Credo che ogni scrittore debba avere una chiave di lettura per decifrare il mondo, e la mia è proprio questa, proiettare in una dimensione onirica e fantastica sentimenti, pulsioni profonde, aspirazioni, desideri, sogni, non per semplice evasione e gratificazione personale, ma come strumento essenziale di decodificazione e di comprensione della realtà.

E’ vero che i Suoi libri vengono considerati molto colti, diretti a un pubblico colto, non di massa? 

Tutte le opere che ho scritto, e pubblicato, L’uomo che possedette il tempo, nel 2006, Il Protocollo di Almeda, nel 2008, Il villaggio degli immortali, nel 2011, L’ultimo Gattopardo ovvero Historia nefanda, nel 2012, Dialoghi coi morti, nel 2013, L’inventore dei sogni, nel 2014, L’universo mostrato a una ragazzina, nel 2015, Lettere d’amore a Beatrice, 2019, Dialogo con il Führer – Giorni d’estate a Berchtesgaden, io non le ho scritte per un pubblico colto, ma esse richiedono un minimo di impegno perché nascono da idee da comunicare. I miei non sono libri difficili, distaccano dalla realtà ma fanno tornare alla realtà. Nei miei libri c’è un po’ di tutto, c’è scienza e tecnica, economia, storia e filosofia, excursus archeologici e antropologici, ma anche drammi e sentimenti, sogni e passioni, conflitti interiori, come nei buoni romanzi dell’Ottocento. Forse, proprio per questo aspetto per molto tempo non sono stati compresi dalle case editrici che oggi, in genere, operano sulla banalità e sul commerciabile.

Lei è uno scrittore versatile, per temi e generi narrativi affrontati. La Sua scrittura allora proprio per questo motivo utilizza diversi registri linguistici.

Io ho sempre tentato nuove vie, sperimentato nuovi linguaggi. Io concepisco la letteratura, e anche questa è forse una conseguenza della mia formazione pedagogica, come strumento per decodificare e rappresentare la realtà, una letteratura volta a migliorare la società. Insomma, la letteratura come strumento di progresso. La varietà dei registri è una conseguenza della varietà degli argomenti, ma, per la verità, solo ne L’ultimo Gattopardo ho rivoluzionato radicalmente il linguaggio, in ragione dei protagonisti, dei temi e della originalità della narrazione. Io prediligo l’italiano colto, letterario, una lingua bella, plastica, duttile, varia, sonora, una sorta di prosa poetica, che ha una tradizione di eccezionale spessore culturale. Non amo il dialetto come lingua scritta, e soprattutto il siciliano, troppo denso di suoni cupi. Ma per la verità io non amo il dialetto come lingua scritta perché io penso e ragiono, sogno, esclusivamente in italiano.

 Il filo conduttore che accomuna le Sue opere è la ricerca dell’uomo nuovo?

 La vita, senza una meta, è vagabondaggio, dice Seneca. Allo stesso modo io concepisco la letteratura. Non scrivendo letteratura di facile consumo, thriller, gialli, noir, polizieschi, e non do a questo termine un’accezione negativa, quasi per caso sin dal primo romanzo, L’uomo che possedette il tempo, e anche per letture e interessi del periodo, mi ha direi quasi ossessionato quest’idea dell’uomo nuovo, e cioè il desiderio di un rinnovamento universale dell’umanità, e questo ha dato alla mia scrittura un tono apocalittico, escatologico e palingenetico che ha quasi naturalmente determinato una rivisitazione dei grandi autori della classicità italiana, latina e straniera, e di conseguenza una prosa poetica, lirica.  L’uomo nuovo, in realtà, in un tempo di caos e di disvalori, al di là di retoriche e fraintendimenti politici e filosofici, è la tensione ideale, la ricerca costante dei valori che conducono al progresso dell’umanità.

Questo libro è un romanzo che si sviluppa sotto forma di un dialogo tra Hitler e lo psichiatra italiano Carlo Bendani. Dal punto di vista stilistico, come mai ha scelto di narrare l’opera avvalendosi del dialogo?

La forma dialogica, soprattutto in un romanzo in cui protagonisti sono uno psichiatra e un politico che con la parola ha costruito le sue fortune, mi è parso lo strumento adeguato per entrare nella mente di Adolf Hitler e per fare emergere la sua umanità. Insieme con i soliloqui, i monologhi, i cori, le riflessioni storiche e filosofiche, letterarie, il dialogo era l’unica possibilità per entrare nel pensiero etico di Hitler, perché – come sostiene Timothy Snyder in Terre di sangue – la tentazione di affermare che un assassino nazista si colloca oltre i limiti della comprensione è concreta, e negare a un individuo il suo carattere umano equivale a rendere impossibile l’etica. Cadere in questa tentazione, trovare inumane altre persone, significa compiere un passo verso la posizione nazista, non allontanarsi da essa; giudicarle indecifrabili significa abdicare alla ricerca di comprensione e quindi abbandonare la storia. Liquidare i nazisti come persone al di là dell’umanità o della comprensione storica equivale a cadere nella loro trappola morale. La via più sicura è rendersi conto di come le loro motivazioni allo sterminio, per quanto ributtanti ai nostri occhi, per loro avessero senso.

Durante la presentazione del Suo libro, Lei ha sottolineato che la Sua intenzione comunicativa attraverso quest’opera è ben lontana dal volere ammirare ed esaltare la figura di questo folle, primitivo, barbaro personaggio storico. Malgrado tutto, considerato il periodo che stiamo attraversando, caratterizzato dalla presenza di molti immigrati nel nostro Paese e in Europa, verso i quali spesso sembra essere più difficile manifestare empatia e solidarietà e più facile la xenofobia, un periodo durante il quale non si fa altro che parlare del caso Liliana Segre, non teme che la Sua opera possa essere boicottata oppure che finisca tra le mani di un fanatico di Hitler che pensa di seguirne le orme?

Quando si scrive un libro su Hitler, e di libri su Hitler ne sono stati scritti migliaia, questo rischio da Lei sottolineato c’è sempre. Come ho già detto, innanzitutto, questa è un’opera letteraria e dunque va giudicata per i suoi meriti letterari, se li ha. Sul piano storico, il libro ha un solo obiettivo: capire il Nazionalsocialismo e Hitler, e questo significa capire la storia dell’Occidente, operazione indispensabile per non commettere gli stessi errori. Significa anche fare emergere responsabilità di altri, se ce ne sono state, e questo induce a storicizzare il fenomeno Hitler, non ad assolverlo. È un’operazione non facile, perché Hitler ha impresso una accelerazione devastante al corso della storia, egli è apparso come un politico mai visto prima, un uomo così estremo, così rovinoso, così radicale, così folle nella sua volontà di distruzione, così apocalittico, come mai si era visto nella storia universale. Uno che parlava di spostamenti di popolazioni, fondazione di Stati, nuovo ordine del mondo, conquista di spazi sterminati. Deportazioni, stermini di massa. Palingenesi, escatologia, apocalisse. Ho utilizzato una bibliografia sterminata con un unico scopo: restituire Hitler e il Nazionalsocialismo – cioè l’antisemitismo, il concetto di Volk, il nazionalismo, il misticismo naturistico, il disprezzo dell istituzioni democratiche – alla storia dell’Occidente.

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